sabato 28 dicembre 2013

Caro anno nuovo ......

Caro anno nuovo , 
Ti scrivo questa lettera perchè sono giù di corda e spero che tu giovane e prestante , rottami un po' di cose....e ce n'è porti tante di belle!  Conosci Renzi, segretario del Pd , lui ti può insegnare molto sulla rottamazione un po' meno sul resto.
Ti pregherei di rottamare un po' di tasse che mi pare ne paghiamo già tante e in contemporanea trova chi non le paga, che lo sistemiamo noi.
Ti pregherei di mandare a casa chi si fa pagare da noi viaggi , trasferte , segretarie , portavoce e mutande pur avendo un bello stipendio , non abbiamo più neanche i soldi per pagarci abbonamento Actv, che tanto fra un po' ci toccherà andare a piedi anche in cimitero. Lì ci sono pochi utenti , il servizio è improduttivo e va tagliato ....
Elimina anche un po' di quei turisti "savattoni " che vengono a Venezia e ci chiedono che autobus devono prendere per andare a San Marco.
Portaci un po' di amministratori capaci di fare piccole cose, non ci servono le grandi opere , ma un po' di opere buone: i marciapiedi non rotti, le strade senza buche , le rive aggiustate,  i cartelli che indicano nei posti giusti, un po' di bagni pubblici e qualche giardino dove i turisti vadano a mangiare senza sporcare la città.
Porta un po' di armonia tra Actv , gondolieri , trasportatori e cittadini , siamo stufi delle liti e vorremmo che chi di dovere li mettesse attorno ad un tavolo e li facesse ragionare per il bene di tutti.
Portaci un po' di bambini in questa città c'è ne sono davvero pochi che sia perchè abbiamo poche scuole materne e asili nido? 
Portaci qualche giovane, anche questi scarseggiano, non so se sia perchè o lavori nel turismo o fai la fame... Qui gli "incubatori"si chiudono e l'amministrazione non li aiuta se non con corsi prematrimoniali.....
Portaci insomma  dei vagoni di buon senso, in città ne manca davvero ! Magari chiediamo al comune se ci presta un ufficio e potremmo distribuirlo a tutti ,  ci toccherebbe fare anche lo straordinario, ma lo facciamo volentieri, un saluto, vieni presto
Anna Brondino
 Caro anno nuovo , 
Ti scrivo questa lettera perchè sono giù di corda e spero che tu giovane e prestante , rottami un po' di cose....e ce n'è porti tante di belle!  Conosci Renzi, segretario del Pd , lui ti può insegnare molto sulla rottamazione un po' meno sul resto.
Ti pregherei di rottamare un po' di tasse che mi pare ne paghiamo già tante e in contemporanea trova chi non le paga, che lo sistemiamo noi.
Ti pregherei di mandare a casa chi si fa pagare da noi viaggi , trasferte , segretarie , portavoce e mutande pur avendo un bello stipendio , non abbiamo più neanche i soldi per pagarci abbonamento Actv, che tanto fra un po' ci toccherà andare a piedi anche in cimitero. Lì ci sono pochi utenti , il servizio è improduttivo e va tagliato ....
Elimina anche un po' di quei turisti "savattoni " che vengono a Venezia e ci chiedono che autobus devono prendere per andare a San Marco.
Portaci un po' di amministratori capaci di fare piccole cose, non ci servono le grandi opere , ma un po' di opere buone: i marciapiedi non rotti, le strade senza buche , le rive aggiustate,  i cartelli che indicano nei posti giusti, un po' di bagni pubblici e qualche giardino dove i turisti vadano a mangiare senza sporcare la città.
Porta un po' di armonia tra Actv , gondolieri , trasportatori e cittadini , siamo stufi delle liti e vorremmo che chi di dovere li mettesse attorno ad un tavolo e li facesse ragionare per il bene di tutti.
Portaci un po' di bambini in questa città c'è ne sono davvero pochi che sia perchè abbiamo poche scuole materne e asili nido? 
Portaci qualche giovane, anche questi scarseggiano, non so se sia perchè o lavori nel turismo o fai la fame... Qui gli "incubatori"si chiudono e l'amministrazione non li aiuta se non con corsi prematrimoniali.....
Portaci insomma  dei vagoni di buon senso, in città ne manca davvero ! Magari chiediamo al comune se ci presta un ufficio e potremmo distribuirlo a tutti ,  ci toccherebbe fare anche lo straordinario, ma lo facciamo volentieri, un saluto, vieni presto

 

domenica 3 novembre 2013

Veniceland ? Se gestito bene, si grazie !

È di pochi giorni fa il progetto di " Veniceland " in Sacca San Biagio, naturalmente lo scatenarsi di no a Venezia è inevitabile. La gente è stanca delle invasioni barbariche che puniscono la città. Credo però che questo, se gestito bene, potrebbe essere un progetto pilota per una nuova progettazione sostenibile di investimenti in città . Se di investimento si tratta veramente, si tratta anche di persone che li vanno a lavorare.
 Ora si potrebbero progettare intanto nuovi e innovativi mezzi di trasporto autosostenibili per portare le persone nel luogo , poi   dei nuovi modi di lavoro ( penso a telelavoro, partime, orari sostenibili per le mamme che ci lavorano),  modalità che centrino le esigenze delle persone.  Penso ad un nido nel parco, ma che possa essere usato anche da chi abita lì vicino ed anche a tutta una serie di servizi che possano dare una qualità di vita migliore con chi abita lì vicino.
Dal punto di vista tematico penso all'acqua,  a dei laboratori didattici per i bambini e sperimentali degli adulti, ad una sorta di parco dove la conoscenza  della cultura della laguna sia divertente , ma allo stesso tempo lasci un segno nelle menti delle persone e faccia capire loro quanto la nostra città sia fragile e quindi debba essere amata e rispettata.
Ecco il nuovo modo di fare impresa in città dovrebbe avere queste modalità:perseguire il guadagno certo , ma dare  dei vantaggi al territorio dove si investe, migliorando la qualità di vita degli abitanti  dal punto di vista economico, sociale e culturale.
Abbiamo visto che cosa ha portato la finanza dello "spremiagrumi "alla nostra città , sarebbe importante dare un bel segno di cambiamento che sia sostanziale e non solo elettorale .

martedì 22 ottobre 2013

Un bel discorso di Papa Francesco

All’Angelus domenicale Papa Francesco ha rivolto un pensiero riconoscente alle «tante donne che lottano per la loro famiglia, che pregano, che non si affaticano mai»: donne che «col loro atteggiamento ci danno una vera testimonianza di fede, di coraggio, un modello di preghiera». Ma ecco il testo completo della sua breve riflessione ispirata alla parabola evangelica della vedova insistente e del giudice disonesto: “Cari fratelli e sorelle, nel Vangelo di oggi Gesù racconta una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi. La protagonista è una vedova che, a forza di supplicare un giudice disonesto, riesce a farsi fare giustizia da lui. E Gesù conclude: se la vedova è riuscita a convincere quel giudice, volete che Dio non ascolti noi, se lo preghiamo con insistenza? L’espressione di Gesù è molto forte: «E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?». “Gridare giorno e notte” verso Dio! Ci colpisce questa immagine della preghiera. Ma chiediamoci: perché Dio vuole questo? Lui non conosce già le nostre necessità? Che senso ha “insistere” con Dio? Questa è una buona domanda, che ci fa approfondire un aspetto molto importante della fede: Dio ci invita a pregare con insistenza non perché non sa di che cosa abbiamo bisogno, o perché non ci ascolta. Al contrario, Lui ascolta sempre e conosce tutto di noi, con amore. Nel nostro cammino quotidiano, specialmente nelle difficoltà, nella lotta contro il male fuori e dentro di noi, il Signore non è lontano, è al nostro fianco; noi lottiamo con Lui accanto, e la nostra arma è proprio la preghiera, che ci fa sentire la sua presenza accanto a noi, la sua misericordia, anche il suo aiuto. Ma la lotta contro il male è dura e lunga, richiede pazienza e resistenza - come Mosè, che doveva tenere le braccia alzate per far vincere il suo popolo. È così: c’è una lotta da portare avanti ogni giorno; ma Dio è il nostro alleato, la fede in Lui è la nostra forza, e la preghiera è l’espressione di questa fede. Perciò Gesù ci assicura la vittoria, ma alla fine si domanda: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Se si spegne la fede, si spegne la preghiera, e noi camminiamo nel buio, ci smarriamo nel cammino della vita. Impariamo dunque dalla vedova del Vangelo a pregare sempre, senza stancarci. Era brava questa vedova! Sapeva lottare per i suoi figli! E penso a tante donne che lottano per la loro famiglia, che pregano, che non si affaticano mai. Un ricordo oggi, tutti noi, a queste donne che col loro atteggiamento ci danno una vera testimonianza di fede, di coraggio, un modello di preghiera. Un ricordo a loro! Pregare sempre, ma non per convincere il Signore a forza di parole! Lui sa meglio di noi di che cosa abbiamo bisogno! Piuttosto la preghiera perseverante è espressione della fede in un Dio che ci chiama a combattere con Lui, ogni giorno, ogni momento, per vincere il male con il bene”.

mercoledì 16 ottobre 2013

A Venezia chiedo : si può vivere solo di turismo?

 

IL GAZZETTINO

Pag 1, 24 “A Venezia chiedo: si può vivere soltanto di turismo?” di Paolo Navarro Dina

L’uomo e la fede come amica, la centralità della famiglia, il Veneto e il destino della sua “capitale”: le riflessioni del Patriarca Moraglia

 

Nuovi discepoli per un nuovo Vangelo tra la gente. E sopra a tutto: la fede in un mondo in evoluzione. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia rilancia la riflessione. Da pochi giorni è in libreria il suo libro "Una fede amica dell’uomo" (Cantagalli Editore, 8 euro). Monsignor Moraglia ha accettato di rispondere ad alcune domande del Gazzettino.

Eccellenza, nell'introduzione al suo libro, citando le parole di Papa Francesco, si dice che la Chiesa è chiamata ad andare incontro al mondo, con profondo sguardo di fede e con condiscendenza e simpatia di fronte alle tante ferite degli uomini

«Parlando di una "fede amica dell’uomo" ho voluto ricordare che è proprio della fede cristiana porsi in profonda sintonia con Dio che cerca l’uomo nella concretezza della storia. A mio avviso è necessario ripartire dalla società, considerata come anima dello Stato. Mi riferisco qui ad un rinnovato impegno di animazione e "cultura sociale" che, soprattutto nel nostro Veneto, può trovare un terreno fertile. La recente esperienza della 47^ Settimana sociale di Torino: ci ha aiutato a cogliere come la famiglia sia elemento forte e realistico per la vita delle persone e della società; se la famiglia è debole, ci ritroveremo persone più fragili, una società e uno Stato più deboli».

Citiamo:"La città è luogo di crescita e di progresso, ma pure di un possibile allontanamento da Dio. La città è anche luogo di peccato e lontananza da Dio". E Venezia?

«A volte, guardando il costante flusso turistico che attraversa la città d’acqua, mi chiedo fino a che punto questa parte di Venezia possa percepire fino in fondo la situazione di crisi che in tante zone di quello che era detto il “ricco Veneto” si avverte in modo evidente. So, però, che pure qui si avvertono problemi non di poco conto e lo sanno bene gli operatori del settore. E ci si chiede: si può vivere, alla fine, solo di turismo? E, se fosse così, non si rischia di pagare lo scotto, pesante, di una città sistematicamente espropriata del suo vivere quotidiano? Nei prossimi mesi mi accingerò a svolgere una visita alle parrocchie del centro storico di Venezia. Attribuisco grande importanza a questi incontri diretti con i sacerdoti e i fedeli».

L'evoluzione del concetto di famiglia in una società in cambiamento. Venezia è stata coinvolta in questo dibattito...

«Mi ha colpito molto quanto Papa Francesco ha scritto ai cattolici italiani: per i cristiani “la famiglia è ben più che tema, è vita, tessuto quotidiano, cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e i valori morali fondamentali, solidarietà concreta”. E tutto questo è “per il maggior bene comune”. Per questo consideriamo la famiglia una priorità, secondo una concezione che viene non solo dalla fede ma anche da testi sulla cui laicità non si può dubitare, come la Costituzione italiana e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. La famiglia, così intesa, non riguarda solo le aspirazioni e le esigenze individuali dei membri che la costituiscono; tocca, piuttosto, le aspettative della comunità perché risponde ad un interesse generale ed ha, quindi, una rilevanza unica nei confronti della società e dello Stato. Non è una delle tante possibili "compagnie" e promuovere la famiglia non intende mai andare contro qualcuno o discriminare in alcun modo nessuno».

È possibile ipotizzare la rifondazione di un "patto" partendo dalla dottrina sociale della Chiesa?

«Ogni ambito ha un suo contenuto ben determinato ma il loro appoggiarsi uno all’altro non è casuale poiché, alla fine, si tratta di riconoscere e promuovere la centralità dell’uomo. Nel testo che ho scritto per tali occasioni segnalo la necessità di una nuova “rivoluzione copernicana”: un passaggio fondamentale è che le diverse istituzioni civili e lo Stato riconoscano la priorità della famiglia nei confronti di ogni altra comunità e della stessa realtà statale. La prospettiva familiare è culturalmente e politicamente da valorizzare, anche per un reale riconoscimento della centralità della persona. Il rapporto costruttivo da realizzare tra vita, lavoro e famiglia da una parte e società e Stato dall’altra inizia da qui, dalla famiglia come soggetto dotato di specificità e priorità sociale».

giovedì 5 settembre 2013

Il valore del digiuno per la pace

Pag 11 Astenersi dal cibo, un modello universale. Distacco dalle cose, quindi dalla violenza di Gian Guido Vecchi

Il cardinale Ravasi: dal Kippur a Gesù al Ramadan, un senso non soltanto religioso

 

Città del Vaticano - «Guardi, c’è un’immagine suggestiva anche nella Grecia classica. Socrate frequentava l’agorà di Atene, passeggiava per il mercato, ascoltava le chiacchiere in piazza e osservava le merci, i beni materiali. Ai discepoli che gli chiedevano perché lo facesse rispose: “Perché così scopro tutte le cose di cui non ho bisogno”». Il cardinale Gianfranco Ravasi sorride, «non che c’entri direttamente col digiuno, però...», però il senso alla fine è lo stesso, almeno a un primo livello. Non è strano che papa Francesco abbia indetto per sabato una giornata «di digiuno e preghiera» per la pace, invitando ad «unirsi, nel modo che riterranno più opportuno» anche i cristiani non cattolici, i fedeli di altre religioni e pure «quei fratelli e sorelle» che non credono. «Il digiuno, anzitutto, è uno dei grandi archetipi universali. Non si tratta solo di astenersi dal cibo, non è una dieta. Il digiunare esprime un elemento simbolico attraverso la componente fondamentale con la quale comunichiamo, il corpo. Il nostro corpo è il grande segnale attraverso il quale mandiamo messaggi, esprimiamo sentimenti, mostriamo anche capacità di trascendenza e mistero...». Lo stesso Gesù, nel Discorso della montagna, parla con sarcasmo degli «ipocriti» che assumono «un’aria malinconica» e «si sfigurano la faccia» per mostrare che digiunano. «Il digiuno significa entrare nell’essenzialità, spogliandoci di tutte le sovrastrutture. Per questo nella tradizione è spesso accompagnato dal silenzio, da pratiche simboliche esteriori come ritirarsi nel deserto che a sua volta è una metafora del digiuno: le necessità ridotte all’essenziale, alla sopravvivenza». In questo senso ha un valore «squisitamente antropologico e come tale universale». Un primo segno di distacco dalle cose concrete, quindi anche dalla violenza del mondo. «Far cadere le spoglie inutili», soprattutto oggi: «L’ingordigia consumistica che sa di morte, come ne “La grande abbuffata” di Marco Ferreri», considera il «ministro» della Cultura vaticano. Ma questo è solo l’inizio. Il digiuno «apre a dimensioni di tipo religioso o più generalmente spirituale». La prima, «che troviamo anche nel Ramadan islamico», collega il digiuno a una dimensione sociale, alla generosità e alla carità: «Nel libro di Isaia, al capitolo 58, il profeta elenca ciò che il Signore vuole, il digiuno a lui gradito: “Sciogliere le catene inique, togliere i legami dal giogo, rimandare liberi gli oppressi, spezzare ogni giogo, dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri, i senza tetto, vestire uno che vedi nudo, non distogliere gli occhi da quelli della tua carne”». Un elemento «che diventerà fondamentale nel cristianesimo, anche se poi la pratica si perderà un po’, fino ad essere considerata autoafflittiva». La seconda dimensione «diverrà fondamentale nell’ascetica cristiana ma già la vediamo nell’immagine di Gesù nel deserto: il digiuno della mente, l’astensione da ogni forma di superficialità, dai rumori, dalle distrazioni. Una catarsi interiore, spirituale, culturale». Di qui si arriva al terzo elemento del digiuno: «È la trascendenza. Dopo aver operato la carità e cancellato le cose inutili e la chiacchiera, sei solo con la tua coscienza. Attraverso l’essenzialità del digiuno si cerca tutto ciò che è divino, mistero, trascendenza. È ciò che dice Gesù: “Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete...”. Il digiuno dell’anima crea il vuoto: per fare entrare il divino». E per i non credenti? «Si fa spazio alle grandi domande: come essere uomini di pace, di giustizia». Ma il digiuno è rivolto agli uomini o a Dio? «Certo il punto di partenza è antropologico, ha a che fare con la libertà e la coscienza dell’uomo. Ma l’ultima dimensione che dicevo è quella in cui uno incontra Dio e la Sua volontà. Fai il vuoto per lasciare entrare Dio. Qui il digiuno si connette alla preghiera. Nella tradizione biblica c’è un altro elemento importante, che vediamo nel Kippur ebraico ma non solo: l’espiazione del peccato. Il digiuno come modo di implorare la liberazione dal male. Ed è qui che deve intervenire Dio: tu prepari il terreno all’irruzione del divino. Nel non credente, alla tensione verso l’oltre». C’è chi dice: non fermerà la guerra, non è utile. Il grande biblista scuote il capo: «Il digiuno corale di milioni di persone ha un significato anche politico, nel senso alto del termine. Magari i politici decideranno altrimenti, ma non potranno ignorare il desiderio corale di pace che si esprime nel mondo. Per un cristiano, in particolare, si tratta anche di vivere la storia in maniera più autentica, di incidere nella tua coscienza e nell’azione del mondo». In che senso, eminenza? «Nel Vangelo Gesù dice quello è un momento di gioia, ma “verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”. Il lungo peregrinare nella storia esige questa sobrietà, questa vigilanza. Essere attenti ai segni dei tempi, specie in momenti come questi, nei quali sembra che Dio sia assente e che gli uomini impazziscano. Non una dieta, ma come un colpo di staffile. È il tempo della storia. Il momento della prova».

martedì 3 settembre 2013

Genitore 1 , genitore 2 in comune di Venezia

Mi occupo di pari opportunità da un po' di tempo e ogni volta penso all'articolo 3 della nostra costituzione , mi chiedo cosa significhi una delega ai " Diritti Civili"( di chi?)  , presuppone che il nostro comune abbia delle difficoltà in merito a questo argomento? Mi chiedo anche quale sia il metodo che la nostra amministrazione usi nel considerare per esempio le donne , i bambini e gli anziani  . 
Esistono delle consulte peraltro a costo praticamente 0,  penso a quella delle cittadine , esiste una delega ai diritti delle donne, diritti dei bambini o degli anziani, che questi argomenti siano meno importanti? 
Mi chiedo inoltre sarà un diritto delle donne che lavorano avere degli asili nido e delle scuole materne nel quartiere dove abitano? E come mai non si sono trovate le risorse per evitare la chiusura della scuola materna delle suore Canossiane di Cannaregio ? È come mai non ci sono i soldi per attrezzare uno spazio esterno ad Altobello per i bimbi dello spazio cuccioli ? 
Faccio notare che questo comune non ha una commissione pari opportunità , cosa che peraltro la regione Veneto tenta di promuovere in tutti i comuni con uno stanziamento di risorse ad oc , che facciamo le pari opportunità sono meno importanti dei diritti civili? 
Non voglio neanche entrare nella querelle Seibezzi , penso alle risorse per cambiare la modulistica , dove li troviamo i soldi , se per togliere le scritte dei Writers  dal ponte  di rialto abbiamo dovuto aspettare uno sponsor? 
Non ultimo chiedo alla consigliera Seibezzi che ha la fortuna di questa delega , che sia un diritto civile anche la gestione equa  delle risorse di questa amministrazione in maniera che si possa abbassare la pressione fiscale e penso alla svendita delle azioni Save e Casinò
 

giovedì 22 agosto 2013

Caro assessore Angela Vettese

Cara Assessore Vettese
Premetto che non faccio parte delle élites culturali di questa città , ma ci sono nata, ci vivo e vorrei lasciarla migliore di adesso ai miei nipoti.
Ho lavorato per trent'anni in un negozio di argenteria fatta a mano che il mio trisnonno aprì nel 1885 e che io ho dovuto chiudere. Uno dei motivi della chiusura è stato proprio l'abbassarsi della qualità culturale del turismo che frequenta questa città . L'ideologizzazione che porta al " tutti hanno diritto di vedere tutto" ha portato alla distruzione sistematica di tutte le eccellenze artigianali della nostra città e mi spiego: la cattiva o totale assenza della gestione dei turismi che dovrebbero essere risorsa per noi che abitiamo la città , ha portato ad una totale deregolamentazione in tutti gli ambiti.Lo sa Lei che perfino i cartelli stradali  indicatori vengono spostati impunemente per deviare i flussi in questa o quel l'altra calle?
La  città è diventata un posto da dove i veneziani quando possono fuggono e solo chi ha un certo agio riesce a viverci
Questo se per un certo periodo  dal punto di vista elettorale ha portato frutti  , adesso a causa di una notevole  carenza di rappresentanza politica, sta facendo nascere una miriade di comitati e associazioni che vogliono essere interlocutori credibili, ma che troppe volte sono autoreferenziali portatori di questo o quel l'interesse e non riescono a presentare sinergicamente le istanze di tutti i cittadini. Tutto ciò porta all' immobilismo allo stato puro! 
Caro assessore ci vuole coraggio e creatività , voglia di sperimentare e di lavorare, voglia di avere una concreta e seria visione di una città attraente per gli investitori , sicura, sostenibile e a dimensione di veneziano, non è una utopia le tecnologie ce lo permettono ampiamente.
Vorrei tanto che senza guardare lobby o interessi di parte lei prendesse per mano la gestione turistica di questa città , certo molti saranno a breve scontenti, "molti nemici tanto onore" diceva un vecchio proverbio , ma chissà che qualcuno che vive in città alla lunga non la ringrazi.
 Anna Brondino

domenica 18 agosto 2013

La morte in Canal Grande

Leggo veramente sconcertata su Facebook dell'incidente occorso oggi 17 agosto tra un vaporetto e una gondola che è costato la vita ad un turista.
Mi chiedo è normale che gli stazi siano attaccati alle fermate dei vaporetti ? 
Non si potrebbero creare dei percorsi  che portino le gondole in dei canali  dedicati che favoriscano una navigazione tranquilla e serena per che è turista e per chi lavora?  
Se è vero che in mare ha la precedenza chi ha più difficoltà a manovrare , che cosa è successo ? 
Perché questa estate si ha ancora di più la percezione  che su tutti i fronti in città non ci sia una visione di governo e che tutto sia diretto solo ad un tamponamento delle enormi emergenze che stiamo vivendo?
Se a Mestre la sicurezza comincia ad essere messa seriamente in discussione , a Venezia impera una incapacità di gestione dei truismi che invece di essere una risorsa sembrano essere una condanna per chi abita e vive in città .
Mi pare che per molti la campagna elettorale sia già cominciata, ma azioni concrete per migliorare la vita dei veneziani ne vedo veramente poche 

sabato 10 agosto 2013

Una sicurezza fuori controllo

Facendo seguito alle polemiche inutili e poco fattive della nostra amministrazione comunale sul l'ordine pubblico di questi giorni , come donne, madri  e cittadine che dovrebbero vivere serenamente nel nostro territorio comunale , ci sentiamo chiamate in causa i prima persona.
Da moltissimi anni dibattiti, incontri e manifestazioni hanno per argomento la sicurezza pubblica , è un cavallo di battaglia politica  personale e non condivisa , che premia trasversalmente.
Che cosa ha fatto la nostra amministrazione? Si è autotolta per una strana , ma pagante ideologia, alcune armi che avrebbero potute essere non spuntate, ma efficaci in questo campo. Come mai in città come Bolzano, città di frontiera, questi problemi sono notevolmente ridotti? 
Una attenta osservazione del territorio potrebbe essere fatta dai servizi sociali, che troppe volte hanno visto tagliarsi risorse e che potrebbero segnalare casi di donne sfruttate e di minori costretti all'accattonaggio .I implicitamente potrebbero darci il polso delle situazioni di degrado e segnalarle  agli organi competenti : vigili , polizia , giudici minorili ecc.
Troppe volte portiamo i nostri bambini al parco con la paura che succeda qualcosa, troppe volte non ci sentiamo sicure al rientro da una serata al cinema con una amica .
Troppe volte non si è capaci di trovare azioni sinergiche capaci di garantire la sicurezza del territorio , chiediamo quindi che nessuno facendo incontri pubblici o tavole rotonde, cavalchi a favore di parte politica il tema della sicurezza, chi ci ci governa dovrebbe già sapere la situazione del territorio a lui afferente , gli strumenti per avere notizie ci sono, basta usarli . Basterebbe forse usare meglio le municipalità per esempio , che sono ridotte ad uno strumento di pura burocrazia.
Vogliamo che questo comune si attivi seriamente e non a parole , che la gente abbia la percezione di un miglioramento della situazione e che quando si telefona per segnalare una situazione critica ai vigili , non ci venga risposto " facciamo quello che possiamo". In questo campo si devono fare i miracoli , gli strumenti e se si vuole, le risorse si possono trovare . 


I negozi di Rialto : una burocrazia che li ammazza

Mi ricordo quando Walter e sua cognata venivano da Sant'Erasmo con le loro verdure e le vendevano in un piccolo banchetto parallelo al tribunale a Rialto. Andavo da loro appena sposata e la loro gentilezza e simpatia , ma anche qualche ricetta par cucinare le verdure come si deve , mi avevano conquistato ....
Adesso dopo tanti anni con la fatica di tanto lavoro, Walter è cresciuto e il negozio si è ingrandito , ha fatto una società e con fatica, ma anche successo, con il suo socio portano avanti la loro attività.
È una storia del Norest , di quel Nordest produttivo che si è fatto da solo , ma adesso la burocrazia sta soffocando lentamente, ma inesorabilmente! 
Qui non si tratta di Sovrintendenza, che applica le regole, si tratta di chi pur con allure  di democrazia partecipata, non fa partecipare nessuno, se non per il colore delle panchine di un parco!
Si tratta di municipalità inascoltate, si tratta di categorie non sentite,( se non sbaglio la stessa storia è successa con la Pescheria) si tratta di buon senso per mantenere in città , quei 4 "panda" veneziani, che disturbando, continuano a viverci! 
Mai  storia fu  piu controversa di quella dei famosi "panini" o dell'arredo urbano dove sono indicate sedie pieghevoli che nessuna ditta costruisce....
Si tratta di buon senso? Si, si tratta di mettere via vecchie ideologie staliniste e stataliste, si tratta di lasciare che chi vuole, venga a Venezia a fare impresa e trovi una amministrazione disposta non solo a fare cassa, ma saper trarre il meglio per chi in questa città vive.
Non si stupisca chi ci governa se ogni santo giorno la gente protesta... la città ormai è in un burrone, per risalirlo ? Grossissime corde e  tanta, tanta voglia di ascoltare( non sentire)  e di fare per il bene comune delle persone che la abitano

martedì 23 luglio 2013

Da Gente Veneta del 21 luglio 2013


Domenica, 21 Luglio 2013

Battesimi in calo: «Ripensiamo la pastorale»


U

n invito a ripensare profondamente la catechesi, la pastorale, la vita stessa delle comunità cristiane. Questo emerge dal "sondaggio" promosso da GV tra alcuni laici della diocesi, all'indomani della pubblicazione dei dati sui battesimi (GV n. 28) che mette in evidenza come il sacramento di iniziazione alla vita cristiana non sia più così scontato. Otto bambini battezzati ogni dieci nati (contando solo gli italiani): è questo il dato medio nel territorio del Patriarcato ed è come una crepa su di un muro, destinata ad allargarsi sempre di più. A meno che non si provi in qualche modo ad invertire la tendenza.


«Questa è la realtà e occorre prenderne atto lucidamente», osservaMarco Da Ponte. «Forse il 100% dei battezzati di un tempo rispondeva ad un bisogno di normalizzazione sociale, più che ad una scelta convinta. Questo dato ci riporta ad una realtà effettiva e si tratta di un trend destinato a peggiorare. Assistiamo ad una trasformazione culturale che è effetto della secolarizzazione». 
Sono dati che stanno addirittura al di sotto del fenomeno, rileva Giovanni Benzoni, «un fenomeno che consiste nell'essere usciti da una tradizione che ha dato molti frutti ma che oggi è del tutto inaridita. E' dovere di ogni credente che ha avuto il dono del battesimo rendere di nuovo feconda questa tradizione».

A questo punto occorre individuare il "come". «Le comunità dovrebbero farsi più vicine alle coppie giovani», è ad esempio l'invito di Nicola Chiarot. «Capita che arrivino coppie che chiedono il battesimo per i figli e poi in chiesa non si fanno più vedere». E altre ancora non si presentano proprio, rinunciando direttamente al sacramento. E' qui che la comunità cristiana è chiamata ad intervenire. «Le famiglie che frequentano la parrocchia - aggiunge Chiarot - dovrebbero avvicinarsi ai nuovi nuclei familiari, avere un po' di coraggio e provare ad accompagnare queste coppie attraverso la propria testimonianza. Dovrebbero iniziare un percorso di relazione, sostenere questi genitori nella scelta del battesimo e poi nel proseguire la vita all'interno della comunità. In questo Anno della fede si potrebbe ripensare alla pastorale familiare in questo senso».

Di ripensamento parla anche Anna Brondino: «Va ripensata la catechesi, vanno ripensati i corsi di formazione per il matrimonio. Seguire la coppia che si sposa in chiesa e che in questo modo dà inizio ad una nuova vita, matrimoniale e genitoriale».
C'è di fatto un vuoto nella catechesi, sottolinea Anna Brondino che da trent'anni è catechista in parrocchia: «E' il vuoto dagli zero ai sei anni. E andrebbe in qualche modo colmato». Rivolgersi ai bambini, per "intercettare" i genitori. «Vediamo che capitano dei ritorni. Quando i bambini vengono a catechismo per preparare la prima comunione ci sono famiglie che, dopo essersi allontanate, si riavvicinano e tornano a frequentare la parrocchia». Ma a questo punto, dopo aver ripreso i contatti, deve entrare in gioco la catechesi per gli adulti. «Il catechista che avvicina i genitori che accompagnano il figlio a catechismo ha una occasione straordinaria di fare evangelizzazione degli adulti. Ma qui va fatto un grosso lavoro di catechesi e di formazione. I catechisti devono essere preparati a rapportarsi con un mondo che non è più quello tradizionale, le famiglie non sono più solo quelle tradizionali. E noi catechisti - aggiunge Brondino - dobbiamo essere preparati ad accogliere, con la formazione adeguata. Mi rendo conto, pensando alla mia esperienza personale, che tante persone avvertono il bisogno di essere avvicinate, accolte. C'è molta solitudine e noi abbiamo l'occasione per fare una sorta di pastorale occasionale. Per questo dobbiamo attrezzarci per lavorare sugli adulti, con gli strumenti giusti, per intercettare queste persone, uscendo anche dalla chiesa, dalle sacrestie, guardando prima di tutto alla persona e alle sue esigenze. Poi verrà anche la pastorale. Credo vi sia bisogno di una riconversione da parte nostra, di una svolta culturale. Ed è quanto sta chiedendo Papa Francesco, ma è anche quanto è emerso lo scorso anno ad Aquileia».

Lavorare dunque sui genitori, sulle giovani coppie. Lo sostiene ancheMarco Da Ponte. «Serve una diffusione capillare, non tanto dei corsi per preparare gli sposi alle nozze, ma per fare in modo che quei giovani sposi si trovino in un ambiente accogliente. La parrocchia sia una famiglia di famiglie che accompagnano gli sposi alla scoperta graduale del loro matrimonio con una prospettiva di fede per i loro figli. E quando si prepara al battesimo si deve lavorare non tanto per preparare i genitori alla cerimonia, ma per renderli consapevoli che essi assumono su di sé la responsabilità di trasmettere la fede ai figli». E poiché il fenomeno non è solo veneziano, ma è ben presente in tante altre diocesi (e in altri paesi d'Europa), Da Ponte suggerisce di guardare anche all'esempio e alle esperienze di altri: «Non facciamo il solito errore, tipicamente veneziano, di voler inventare per primi la soluzione». Non si parte da zero comunque: «Il lavoro fatto dalla commissione pastorale sposi è una base di partenza, ma va recepito. Ora c'è un lavoro capillare da fare in parrocchia, nell'accogliere gli sposi giovani e nel mettersi a disposizione, calibrando i ritmi e le proposte in base alle loro esigenze che sono certamente diverse da quelle dei parrocchiani sessantenni... Vanno favoriti gli incontri con le altre coppie giovani, mettendo anche a disposizione servizi di baby sitting, in orari per loro più agevoli. Va insomma - chiude Da Ponte - cambiata la mentalità».

Molto importante è poi la testimonianza che può portare l'effetto "contagio" come lo definisce Enrico Moschini: «Se una persona vede che io ho qualcoa di bello, un segno che desta il suo interesse, quella persona lo vorrà per sé. Vale anche per l'evangelizzazione, partendo da dei segni che destino l'interesse delle persone, delle famiglie. Le parrocchie, dunque, devono saper evangelizzare. E cogliere l'occasione che si ha quando una famiglia chiede di battezzare il figlio: è un'opportunità di evangelizzazione, ogni bambino che nasce è una chance. Ma occorre saper offrire qualcosa di allettante e noi cristiani ce l'abbiamo, ma occorre averne coscienza, saper accogliere e annunciare».
Il battesimo, conclude Giovanni Benzoni, è un dono che va scoperto e riscoperto da tutti. «E la relazione tra le persone deve avere la preminenza sugli aspetti organizzativi, pur necessari. E' chiaro che quanto più è aperta e missionaria la comunità, tanto è più probabile che sia ricompensata da generosi frutti».

Serena Spinazzi Lucchesi


Tratto da GENTE VENETA, n.29/2013


lunedì 22 luglio 2013

La laicità , omelia di Mons Moraglia

La laicità è fondamentale, sia per il cittadino che per il cristiano. È legata alla struttura della persona che, nella sua realtà antropologicocreaturale, viene prima dello Stato (del cittadino) ma anche prima dell’adesione a qualsiasi religione (del credente). Per la Chiesa cattolica, poi, la fede – il “sì” a Gesù Cristo – non può che essere una scelta libera e responsabile. La risposta di Gesù a coloro che gli chiedevano se era lecito o no pagare il tributo a Cesare – «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21) – mostra un percorso sempre valido che va al di là di situazioni contingenti o di una singola epoca storica. Gesù pone una distinzione fondante e fondamentale: Dio e Cesare, nei loro ambiti specifici, sono interlocutori imprescindibili per l’uomo di ogni epoca. Fino ad allora né lo Stato ebraico con la sua teocrazia né l’impero romano con il culto a Cesare avevano raggiunto la vera laicità indicata da Gesù. In questa distinzione c’è la novità da cui deriva la forma moderna dello Stato, ossia la possibilità d’essere sia leali sudditi del “re”, pur essendo uomini di fede, sia veri credenti ed insieme autentici cittadini impegnati a lavorare per il bene della civis. Si tratta di riflettere, allora, sul concetto di laicità considerato come snodo essenziale, tanto nella vita del credente quanto del cittadino. Credente e cittadino devono innanzitutto guardarsi dai differenti tipi di confessionalismo, sia esso religioso che scientista o laicista. Molte sono le sue forme: c’è il confessionalismo che reca il marchio della credenza religiosa, quello tecnico-scientifico e, ancora, quello ideologico politico-culturale; tutti questi, a loro volta, diventano opprimenti e pervasivi nei confronti della libertà di coscienza sia dei credenti sia dei cittadini. La storia fornisce un ampio campionario che si dispiega nelle differenti epoche. Nel nostro ordinamento giuridico il termine “laicità” non compare nella legislazione ordinaria né risulta utilizzato dalla Costituzione per qualificare l’atteggiamento dello Stato in materia religiosa; è legato piuttosto alla giurisprudenza della Corte costituzionale che, in una famosa sentenza (la n. 203 del 1989), qualifica il principio di laicità come «principio supremo dell’ordinamento costituzionale» e «uno dei profili della forma di Stato delineato dalla Costituzione». È un principio di laicità inteso in senso “aperto” e “positivo”, che non indica o suggerisce l’indifferenza o, addirittura, l’ostilità dello Stato dinanzi alla religione (o alle religioni) ma piuttosto il compito di garanzia che spetta allo Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in un contesto accentuato di pluralismo confessionale e culturale. Lo Stato non può essere indifferente o neutrale dinanzi alla religione. E qui non è in ballo solo la religione cattolica. Lo Stato deve garantire la tutela della libertà religiosa come diritto fondamentale e inalienabile della persona, come diritto valido per tutti. Una sana laicità è in grado di riconoscere, di rispettare e di valorizzare tanto la sfera sacrale/religiosa quanto quella profana/secolare nell’interesse del cittadino. Di ogni cittadino e di tutti i cittadini. Una vera laicità comporta il riconoscimento delle molteplici dimensioni dell’uomo che è spirito, anima e corpo (cfr. 1 Ts 5,23): l’uomo è immanenza e trascendenza, relazionalità verticale (o teologica) e orizzontale (o antropologica), interiorità ed esteriorità. L’uomo è l’insieme di tutte queste dimensioni e tra di esse vi è anche quella religiosa che dev’essere vissuta in modo “pienamente umano”. Appare quindi tutta l’incongruenza di chi, invece, vorrebbe rinchiudere la fede (la religione) nel recinto interiore della coscienza personale. Il Concilio Ecumenico Vaticano II – al n. 36 della Gaudium et spes – ha parlato dell’autonomia delle realtà terrene affermando che, insieme alle leggi che regolano la vita delle società civili, esse godono di legittima autonomia ma, nello stesso tempo, tale autonomia non è mai qualcosa d’assoluto: sottostà ad una valutazione morale che non è di qualcuno ma è il riconoscimento di qualcosa che viene prima della sfera religiosa e politica, prima della tecnoscienza. Così, di fronte a questioni altissime come quelle della vita, non c’è legge dello Stato che tenga e in ultima istanza, per opporsi ad un’ingiustizia altrimenti irreparabile, si dà la legittimità dell’obiezione di coscienza. Ricordiamo le ultime parole di Tommaso Moro, figura luminosa e attualissima: « Muoio come buon servo del Re, ma anzitutto come servo di Dio». La festa del Redentore spinga credenti e non credenti a riscoprire il senso di una laicità che porta a vivere nel rispetto delle prerogative antropologiche fondamentali e non mira a ridurre e a costringere nel chiuso della coscienza individuale i propri convincimenti, iniziando da quelli religiosi. La laicità sia un ponte gettato verso quanti non hanno il nostro modo di “sentire” ma hanno a cuore l’uomo, tutto l’uomo – non solo una sua parte – e, ancora, tutti gli uomini e, alla fine, il bene comune.

martedì 2 luglio 2013

Una grande occasione persa : Palais Lumière

Alla luce delle ultime nefaste notizie riguardo al Palais Lumière  mi chiedo veramente chi verrà ad investire in città , l'immagine a livello internazionale  con la quale la nostra Venezia esce, è pessima! Qui non si tratta di destra o sinistra, di guelfi o ghibellini , si tratta di una visione a lungo termine per il nostro territorio .Quale è la visione di chi ora ci amministra ? Non ci è chiaro.
Mi chiedo se non fosse stato possibile  che per un investimento economico così importante che prevedeva anche un rilancio di Marghera,  non fosse stato il caso che tutti gli attori coinvolti in questa partita si attivassero per una conclusione positiva della questione.
Un investimento che proponeva una sostenibilità per il territorio, una uscita dalla cultura monoturistica imperante, un rilancio di un territorio abbandonato e tanti posti di lavoro in un momento economico così delicato.
Certo che un investimento di queste proporzioni richiedeva regole certe e tempi certi dal punto di vista delle autorizzazioni amministrative e burocratiche , c'é stato? Chi investe si fa dei conti e vuole dei ritorni, se no è un benefattore od un mecenate. 
Il nostro territorio da quanto tempo non vede investitori stranieri pronti a imprendere a Venezia? 
Abbiamo un territorio che potrebbe essere vetrina mondiale, che si presta e sperimentazioni le più ardite e creative, penso ad una coniugazione ambiente e lavoro , per esempio, perchè non favorire imprenditori coraggiosi con leggi locali ad hoc?
Credo che le ideologie e le clientele  di cui ormai è incrostato il nostro territorio , se vogliamo che Venezia non resti un paese per vecchi, debbano essere spazzate via da un vento nuovo di buon senso e coraggio . Perchè non creare una lobby trasversale per il ritorno di investitori  in questa città? 
Ecco ormai delle parole e di azioni tappabuchi per salvare il bilancio e le sedie di chi ci governa direi siamo stanchi , le tasche e le pance sono vuote o meglio di alcuni sono molto piene e di altri molto vuote . 
Veda questa amministrazione di darsi una linea , una visione e per favore ce la spieghi .

 

venerdì 21 giugno 2013

Tanto lavoro ancora da fare per la 194

La recente discussione del consiglio comunale sulla legge 194 direi che ha portato alla luce come siamo ancora molto lontani dalla svolta culturale che servirebbe nel nostro paese per una vera ottica di pari opportunità . 
Il lavoro da fare nel nostro territorio è veramente moltissimo. Si dovrebbero implementare i consultori, la scuola dovrebbe farsi carico di corsi di educazione affettiva e sessuale per genitori e figli e dovrebbe essere implementata una cultura di prevenzione a tutti i livelli . Il lavoro da fare dovrebbe essere capillare e sistematico proprio per raggiungere tutti uomini e donne anche migranti , che provengono da paesi dove la cultura del rispetto della vita e per la dignità della persona a volte sembra essere approssimativa.
Oggi però è un grande giorno , il nostro parlamento ha ratificato il trattato di Istambul , che ormai dovrebbe essere legge dello stato, io spero veramente che il nostro comune , ma anche la nostra regione , ne recepiscano le norme e si attivino al più presto per modificare i loro statuti in questo senso .
L'Iter burocratico non è complicato ed il segno che ne uscirebbe sarebbe di grande civiltà per noi , ma anche per i nostri figli e le nostre figlie 
Potrebbe essere il segno che a Venezia la nostra amministrazione non pensa alla dignità delle donne o dei più deboli solo a parole , ma anche con azioni concrete . Venezia capitale della cultura del rispetto di ogni persona umana che va difesa e tutelata nella sua dignità e nei suoi bisogni.   
Anna Brondino 

martedì 18 giugno 2013

Sulla legge 194

La recente inopportuna irruzione del Consiglio Comunale nella delicata questione dell’obiezione di coscienza impone a nostro avviso una seria riflessione ed una ricognizione sullo stato della tutela dei diritti della donna sanciti dalla legge 194. L’art. 1 stabilisce: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite”:
Noi non siamo per l'aborto, che resta un problema legato inevitabilmente alla coscienza di ciascuna, ma  per la tutela  e la garanzia di diritti sanciti da una legge dello Stato.
Ogni donna che si appresta ad un scelta travagliata e dolorosa ha prima di tutto il diritto alla consapevolezza  e ad una adeguata assistenza medica e psicologica.
L’obiezione del medico è un diritto così come lo è quello della donna di ottenere un servizio di assistenza e di trattamento medico così come previsto dalla legge.
Se da un lato la legge ammette l'obiezione di coscienza , dall'altro , pur con strumenti come la mobilità (ovviamente calendarizzate adeguatamente) ha l'obbligo di garantire il servizio alle donne che lo richiedano e questo nella discussione in corso ci pare fondamentale.
Del resto i dati sulle percentuali dei medici obiettori presenti nelle strutture pubbliche fotografano una situazione  non già di difficoltà  nelle tutele su questo fronte quanto invece dell’impossibilità in molti casi di garantire il diritto alla scelta ed alla maternità consapevole da parte di molte donne.
Se è vero che il tema esula dalle competenze delle Amministrazioni locali è anche importante che dalle stesse e dalla conferenza dei Sindaci  arrivino segnali e  stimoli verso un coordinamento più attento dei consultori  e delle altre strutture preposte al sostegno e all’assistenza delle donne per una applicazione più puntuale della 194 e davvero sorprende che l’Amministrazione Veneziana, che sul tema dei diritti della persona ha fatto in più occasioni la propria bandiera, abbia affrontato con superficialità un tema così delicato e sensibile, si applichi con risorse e idee concrete per tutelare tutti i cittadini e le cittadine che in momenti di difficoltà si aspettano un aiuto .
Il risultato non può che essere un sentimento di disagio nei confronti di una istituzione che sempre meno ci rappresenta 

Il Papa Francesco sulla vita

Messa di Papa Francesco per la giornata dell’«Evangelium vitae»

 

«Spesso l’uomo non sceglie la vita» perché si lascia guidare «dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non dall’amore, dalla ricerca del bene dell’altro». E questo alimenta l’illusione di poter costruire la città dell’uomo senza Dio. I cristiani invece devono ricordare sempre che «il Signore è il vivente, è misericordioso». Lo ha detto Papa Francesco nell’omelia della messa per la giornata dell’Evangeliumvitae presieduta domenica mattina, 16 giugno, in piazza San Pietro.

 

Cari fratelli e sorelle, questa celebrazione ha un nome molto bello: il Vangelo della Vita. Con questa Eucaristia, nell’Anno della fede, vogliamo ringraziare il Signore per il dono della vita, in tutte le sue manifestazioni; e nello stesso tempo vogliamo annunciare il Vangelo della Vita. Partendo dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato vorrei proporvi tre semplici spunti di meditazione per la nostra fede: anzitutto, la Bibbia ci rivela il Dio Vivente, il Dio che è Vita e fonte della vita; in secondo luogo, Gesù Cristo dona la vita, e lo Spirito Santo ci mantiene nella vita; terzo, seguire la via di Dio conduce alla vita, mentre seguire gli idoli conduce alla morte. La prima Lettura, tratta dal Secondo Libro di Samuele, ci parla di vita e di morte. Il re Davide vuole nascondere l’adulterio commesso con la moglie di Uria l’Hittita, un soldato del suo esercito, e per fare questo ordina di collocare Uria in prima linea perché sia ucciso in battaglia. La Bibbia ci mostra il dramma umano in tutta la sua realtà, il bene e il male, le passioni, il peccato e le sue conseguenze. Quando l’uomo vuole affermare se stesso, chiudendosi nel proprio egoismo e mettendosi al posto di Dio, finisce per seminare morte. L’adulterio del re Davide ne è un esempio. E l’egoismo porta alla menzogna, con cui si cerca di ingannare se stessi e il prossimo. Ma Dio non si può ingannare, e abbiamo ascoltato come il profeta dice a Davide: tu hai fatto ciò che è male agli occhi di Dio (cfr. 2 Sam 12, 9). Il re viene messo di fronte alle sue opere di morte - davvero quello che ha fatto è un’opera di morte, non di vita! -, comprende e chiede perdono: «Ho peccato contro il Signore!» (v. 13), e il Dio misericordioso che vuole la vita e sempre ci perdona, lo perdona, gli ridona vita; il profeta gli dice: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai». Che immagine abbiamo di Dio? Forse ci appare come un giudice severo, come qualcuno che limita la nostra libertà di vivere. Ma tutta la Scrittura ci ricorda che Dio è il Vivente, colui che dona la vita e che indica la via della vita piena. Penso all’inizio del Libro della Genesi: Dio plasma l’uomo con polvere del suolo, soffia nelle sue narici un alito di vita e l’uomo diviene un essere vivente (cfr. 2, 7). Dio è la fonte della vita; è grazie al suo soffio che l’uomo ha vita ed è il suo soffio che sostiene il cammino della sua esistenza terrena. Penso anche alla vocazione di Mosè, quando il Signore si presenta come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come il Dio dei viventi; e inviando Mosè al faraone per liberare il suo popolo rivela il suo nome: “Io sono colui che sono”, il Dio che si rende presente nella storia, che libera dalla schiavitù, dalla morte, e porta vita al popolo perché è il Vivente. Penso anche al dono dei Dieci Comandamenti: una strada che Dio ci indica per un vita veramente libera, per una vita piena; non sono un inno al “no” - non devi fare questo, non devi fare questo, non devi fare questo... No! Sono un inno al “sì” a Dio, all’Amore, alla vita. Cari amici, la nostra vita è piena solo in Dio, perché solo Lui è il Vivente! Il brano del Vangelo di oggi ci fa fare un passo avanti. Gesù incontra una donna peccatrice durante un pranzo in casa di un fariseo, suscitando lo scandalo dei presenti: Gesù si lascia avvicinare da una peccatrice e addirittura le rimette i peccati, dicendo: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (Lc 7, 47). Gesù è l’incarnazione del Dio Vivente, Colui che porta la vita, di fronte a tante opere di morte, di fronte al peccato, all’egoismo, alla chiusura in se stessi. Gesù accoglie, ama, solleva, incoraggia, perdona e dona nuovamente la forza di camminare, ridona vita. In tutto il Vangelo noi vediamo come Gesù con i gesti e le parole porta la vita di Dio che trasforma. È l’esperienza della donna che unge con profumo i piedi del Signore: si sente compresa, amata, e risponde con un gesto di amore, si lascia toccare dalla misericordia di Dio e ottiene il perdono, inizia una nuova vita. Dio, il Vivente, è misericordioso. Siete d’accordo? Diciamolo insieme: Dio, il Vivente, è misericordioso! Tutti: Dio, il Vivente, è misericordioso. Un’altra volta: Dio, il Vivente, è misericordioso! È stata questa anche l’esperienza dell’apostolo Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda Lettura: «Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2, 20). Qual è questa vita? È la vita stessa di Dio. E chi ci introduce in questa vita? È lo Spirito Santo, dono del Cristo Risorto. È Lui che ci introduce nella vita divina come veri figli di Dio, come figli nel Figlio Unigenito, Gesù Cristo. Siamo aperti noi allo Spirito Santo? Ci lasciamo guidare da Lui? Il cristiano è un uomo spirituale, e questo non significa che sia una persona che vive “nelle nuvole”, fuori della realtà, come se fosse un fantasma. No! Il cristiano è una persona che pensa e agisce nella vita quotidiana secondo Dio, una persona che lascia che la sua vita sia animata, nutrita dallo Spirito Santo perché sia piena, da veri figli. E questo significa realismo e fecondità. Chi si lascia condurre dallo Spirito Santo è realista, sa misurare e valutare la realtà, ed è anche fecondo: la sua vita genera vita attorno a sé. Dio è il Vivente, è il Misericordioso. Gesù ci porta la vita di Dio, lo Spirito Santo ci introduce e ci mantiene nella relazione vitale di veri figli di Dio. Ma spesso - lo sappiamo per esperienza - l’uomo non sceglie la vita, non accoglie il “Vangelo della vita”, ma si lascia guidare da ideologie e logiche che mettono ostacoli alla vita, che non la rispettano, perché sono dettate dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dall’amore, dalla ricerca del bene dell’altro. È la costante illusione di voler costruire la città dell’uomo senza Dio, senza la vita e l’amore di Dio - una nuova Torre di Babele; è il pensare che il rifiuto di Dio, del Messaggio di Cristo, del Vangelo della Vita, porti alla libertà, alla piena realizzazione dell’uomo. Il risultato è che al Dio Vivente vengono sostituiti idoli umani e passeggeri, che offrono l’ebbrezza di un momento di libertà, ma che alla fine sono portatori di nuove schiavitù e di morte. La saggezza del Salmista dice: «I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi» (Sal 19, 9). Ricordiamolo sempre: il Signore è il Vivente, è misericordioso. Il Signore è il Vivente, è misericordioso. Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Dio come al Dio della vita, guardiamo alla sua legge, al messaggio del Vangelo come a una via di libertà e di vita. Il Dio Vivente ci fa liberi! Diciamo sì all’amore e no all’egoismo, diciamo sì alla vita e no alla morte, diciamo sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo; in una parola diciamo sì a Dio, che è amore, vita e libertà, e mai delude (cfr. 1 Gv 4, 8; Gv 11, 25;Gv 8, 32), a Dio che il Vivente e il Misericordioso. Solo la fede nel Dio Vivente ci salva; nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita con il dono dello Spirito Santo e fa vivere da veri figli di Dio con la sua misericordia. Questa fede ci rende liberi e felici. Chiediamo a Maria, Madre della Vita, che ci aiuti ad accogliere e testimoniare sempre il “Vangelo della Vita”. Così sia.

domenica 2 giugno 2013

Cosa penso sulla democrazia partecipativa

"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale."
 Cito l'articolo 49 della nostra costituzione perché mi sembra che in due righe essa definisca, con sintesi e completezza, la questione della democrazia partecipata dai cittadini.
Credo di capire che la nostra sia un tipo di democrazia fiduciaria, dove la rappresentatività dei cittadini a cascata è agevolata sia dallo strumento partitico, sia dal voto .
Ormai tutte le amministrazioni , anche attraverso strumenti innovativi (open data), devono essere delle case di vetro dove chiunque possa accedere ad informazioni di qualsiasi tipo in maniera semplice ed immediata.  
Chi ci governa a Venezia, deve dotarsi veramente  di strumenti e di luoghi che permettano agli eletti di ascoltare le istanze del territorio, di elaborarle e di arrivare ad azioni di governo  che prevedano  e sanciscano il bene di tutta la comunità territoriale 
Il fiorire di comitati e associazioni in città ( dal Gruppo "Gabbiotto" in Facebook al "Si al Palais Lumiėre)  afferenti a questa o quella causa , non è un bel sintomo, dimostra infatti che i meccanismi di partecipazione attuali sono inadeguati , si sono inceppati o che alcune lobby  curano solo i loro interessi mascherandosi con istanze di democrazia partecipata.
Credo quindi sia necessario che :
Gli eletti lavorino in maniera anche trasversale,  efficace e tempestiva perché si recuperi il rapporto fiduciario che ci dovrebbe essere con gli elettori 
Gli eletti si dotino di capacità di ascolto , recepimento e elaborazione delle istanze degli elettori 
Gli eletti facciano della trasparenza la loro modalità di lavoro
Mi sento  quindi di esplicitare alcune istanze operative che potrebbero essere recepite dal nostro comune  visto che al momento si sta lavorando agli  gli strumenti di democrazia partecipativa.
Anche alla luce della nuova legge elettorale riguardanti gli enti locali che introduce la doppia presenza di genere  è veramente necessaria una seria e approfondita analisi sul ruolo delle municipalità  
Se si intende mantenere questo istituto, bisogna valorizzarne ed implementarne il ruolo.Possono essere veramente luogo dedicato di ascolto e di esercizio di partecipazione attiva delle cittadine e dei cittadini . Ad una attenta analisi oggi ci pare che siano state ridotte ad un mero stumento clientelare e burocratico le cui azioni non sono per niente tenute in considerazione .
Per quanto riguarda le numerose consulte presenti nella nostra amministrazione , credo vada fatta anche qui una seria ed attenta valutazione. A volte si ha veramente l'impressione che il loro lavoro non venga minimamente tenuto in considerazione dagli assessori afferenti alle tematiche a cui esse lavorano.
Per il resto spero  che si agevolino veramente per sottrazione di normativa tutti gli altri strumenti come proposte di delibere popolari,referendum e petizioni.
Tutti i cittadini devono trovare spazi di espressione con modalità semplici e percorribili, il contributo di ogni singolo deve essere considerato una ricchezza per la comunità, fatto salvo il bene comune di essa
Anna Brondino     

domenica 5 maggio 2013

A proposito di testamento biologico


Testamento biologico:
un’occasione per un processo partecipato dalla cittadinanza.

1. Chiedere le buone ragioni della necessità e della tempestività di suscitare oggi in sede politica comunale un dibattito sul tema ambiguo e controverso del cosiddetto testamento biologico entra a pieno diritto nella stessa definizione di democrazia partecipativa: all’interno della quale non è dato l’esercizio delle pubbliche udienze che la costituiscono senza preventivamente conoscerne la collocazione motivazionale e i risultati attesi.
Ciò vuol dire: non dare come ineluttabile qualunque processo di democrazia partecipata, qualsiasi tema ne sia l’oggetto – opera pubblica o evento – per il solo fatto che i pubblici poteri l’hanno indetto, ma accreditare ai cittadini fruitori l’antecedente facoltà di capirlo e condividerlo.

2. Dal punto di vista metodologico, apparirebbe altresì determinante, nella fase di discussione preliminare attivata dal Comune di Venezia, un’esplorazione delle cause all’origine della questione nel suo complesso, più verosimili della semplice asserzione – che va per la maggiore – per la quale il tema del testamento biologico (anche nella forma soft di Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) si fonda e si alimenta come soluzione filosofico-terapeutica a un dilemma proprio del fine-vita, che vede da un lato il paziente che vuole decidere oggi per il suo domani e dall’altro il medico che se da un lato deve rispondere alla propria coscienza e alla propria confessione scientifica, dall’altro non potrebbe prescindere dalla volontà del paziente in ordine alla conformazione e/o alla cessazione dei trattamenti terapeutici.

3. Il motivo occasionale che muove il Comune a lanciare un dibattito politico sul testamento biologico, hic et nunc, cioè nell’attuale contesto socio-culturale urbano, sfibrato dagli effetti della lunga crisi economico-istituzionale che attanaglia il Paese, e pertanto forse poco disponibile ad ospitare querelles di tipo astratto, potrebbe facilmente ascriversi alla volontà della Giunta veneziana di ripercorrere quelle prassi già sperimentate da altre amministrazioni comunali (come Torino, Firenze, Pisa, Genova, Bologna, Perugia, Udine) consistenti nell’inaugurare la raccolta auto-organizzata di testamenti biologici, che pur non potendo vantare una diretta efficacia giuridica, rappresentano, in assenza di una specifica disciplina normativa, atti unilaterali volti ad indirizzare la pubblica opinione

4. Prima di tentare un’esplorazione all’interno dell’universo delle probabili cause concrete e attuali che armano in modo più credibile la questione testamento biologico appare necessario un’ulteriore notazione di metodo.
Mai come in questo caso i destinatari dell’informazione nell’ambito dei processi di democrazia partecipativa divergono dai soggetti interessati: non sono infatti, in via paradossale, i malati terminali che dibattono e decidono in ordine alla conformazione e/o alla cessazione dei propri trattamenti terapeutici, ma sono solo soggetti sani che, prefigurandosi solo narrativamente in una condizione futura di malattia terminale (nella quale fortemente sperano di non cadere mai) decidono sulle modalità di prestabilire i fine-vita altrui: in tal senso la stessa validità ed efficacia dei dibattiti appare diminuita.

5. Sotto le valenze filosofiche ed ideologiche che formalmente esauriscono l’armatura del tema laico del testamento biologico, è possibile intravedere, anche alla luce di esperienze di paesi esteri, altre ragioni che a detta di alcuni rendono quanto mai necessaria una regolazione legislativa che sancisca la validità erga omnes di scelte individuali sul proprio fine-vita, auspicabilmente orientate e sapientemente indotte verso la soluzione eutanasica; tra le quali:

necessità di razionalizzazione e omologazione dei fine-vita, anche dal punto di vista economico-sociale: cioè non spendere più cifre esorbitanti per tenere in vita malati che hanno superato una certa età e sono comunque destinati a morire nel medio termine. E’ la soluzione a deriva eutanasica praticata in Olanda e in altri Stati del Nord Europa;

contingenze puramente economiche, come avviene attualmente in Grecia dove, per la crisi, si tende all’eliminazione dei trattamenti chemioterapici, in quanto quello Stato, suo malgrado, non riesce a pagare gli altissimi prezzi degli antiblastici alle società farmaceutiche estere;

forti interessi di trascinamento all’interno dello strumento testamento biologico redatto in forma giuridicamente cogente, anche della materia dell’anticipata destinazione degli organi, con i fasci di interessi economici connessi;

forti spinte a liberare dalla solitudine delle decisioni, e dai rischi assicurativi e penali, i medici e gli operatori sanitari che assistono ai fine-vita.

non da ultimo, l’interesse di attaccare la Chiesa Cattolica da laicisti convinti assertori dell’eutanasia o del suicidio assistito che mascherano sotto le categorie della dignità e/o della libertà in morte, suscitando divisioni e diversità di opinioni all’interno della Chiesa – e della coscienza dei cattolici –, secondo quel metodo assai efficace che consiste nel denunciarne la lentezza di mettersi in linea con i tempi, e gli imbarazzi di sostenere concetti come morte naturale, di ascendenza medievale, dichiarati ormai improponibili alla luce delle più recenti scoperte scientifiche. Corre il rischio che nell’entrare nell’argomento testamento biologico, usando i linguaggi e i paradigmi delle scienze, per mostrarsi all’altezza, esponenti della Chiesa Cattolica possano attestarsi su verità parziali, scivolando nella spirale degli interrogativi senza risposta, degli enunciati senza dimostrazione e delle aporie che ancora variamente animano la questione testamento biologico, in contraddizione con le disposizioni del Catechismo.

Alla luce di quanto esposto auspichiamo che l’iniziativa del Comune di Venezia si esprima attraverso il coinvolgimento della cittadinanza, attivando un dibattito politico plurale: sarà la qualità del dibattito e il tasso di interesse che la cittadinanza vorrà dimostrare a dare valore e sostanza all’iniziativa del Comune.
Si auspica quindi che un tale dibattito sia partecipato, veda contributi da parte di giuristi, medici, bioetici, associazioni di volontariato che assistono i malati terminali per riuscire a cogliere la dimensione antropologica e sociale della questione, evitando di vederne solo la dimensione individuale. Così come si auspica che il dibattito possa sottrarsi per quanto possibile a trattazioni ideologiche.


Piero Selle – Anna Brondino – Roberto Pace

Venezia, 21 marzo 2013

mercoledì 24 aprile 2013

A proposito di scuole materne a Venezia

Crediamo che la tutela e la valorizzazione di tutte le risorse umane di un territorio sia il dovere di ogni amministratore che abbia una visione di futuro del suo territorio .
Da troppo tempo la conciliazione dei tempi e della qualità di vita delle donne e quindi delle giovani famiglie di questa città sono sottovalutate in cambio di una cultura turistica imperante ed espulsiva nei confronti di tutti i Veneziani.
Il turismo è sicuramente una grandissima risorsa per il nostro territorio , ma deve permettere, attraverso una fiscalità equa ed una giusta redistribuzione delle risorse , a tutti gli abitanti una qualità di vita alta e sostenibile.
Il nostro comune ha veramente moltissime risorse, che però vengono disperse in mille rivoli clientelari che ostano veramente al criterio del buon padre di famiglia che quando la coperta si fa corta ottimizza e focalizza seriamente i centri di spesa.
È per questo che non riusciamo a capire come in questa città non si siano azzerate le liste d'attesa nelle scuole materne e negli asili nido , che in questo tempo di crisi dovrebbero essere un servizio fondamentale per le famiglie
I posti ci sono , perché non pensare di riformulare il criterio di pagamento delle rette in base ai modelli Isee. Chi ha di più paghi di più fino ad un massimo da decidere e permetta a chi ha di meno di poter frequentare la scuola lo stesso . Il criterio della proporzionalità dei costi dei servizi è sancito dalla nostra costituzione .Quindi ci pare importantissimo che questa amministrazione comunale si muova per garantire questo sevizio a tutte le famiglie veneziane. Le donne di questo territorio, che sulle spalle si trovano l'educazione delle giovani generazioni e la cura degli anziani , devono sapere che almeno per i figli c'è qualcuno di serio e competente che in un ambiente di qualità si occupa di loro mente lavorano .
Questi 70 bambini esclusi devono trovare, attraverso anche sinergie con altre istituzioni siano pubbliche o private , il posto dove essere educati e curati.l'amministrazione promuova azioni atte a favorire ciò con impegno massimo di energia e di risorse.
Anna Brondino
Manuel Tiffi

mercoledì 20 marzo 2013

A proposito di Fontego dei Tedeschi ...

In un momento storico in cui la crisi del comparto edilizio nella sola Venezia insulare interessa circa 700 piccole e medie aziende del comparto casa, coinvolgendo quindi quasi 2000 addetti, manifestandosi con una riduzione dei fatturati media che si attesta tra il 15 e 20% con un raddoppio delle sofferenze, ogni nuovo cantiere che sorgerà nella nostra città sarà senza dubbio una preziosa risorsa.
Venezia, vetrina internazionale, è potenzialmente capace di attirare investitori da qualsiasi luogo per l’ovvio ritorno di immagine garantito; è anche vero però che qualsiasi investimento richiede tempi e norme certe.
Quindi burocrazia, norma contraddittorie, enti con regolamenti tra loro contrastanti e un certo intellettualismo sospettoso e sterile, non aiutano certo lo sviluppo di opportunità che potrebbero ridistribuire equamente ricchezza in tutto il territorio generando posti di lavoro, recuperando spazi abbandonati a se stessi e germinando semi di cultura sociale.
Il Fontego da questo punto di vista potrebbe essere paradigmatico; si tratta infatti di una delle ultime opportunità che la nostra città deve sfruttare al meglio sia dal punto di vista economico, ma anche etico e sociale. Errori senza dubbio ne sono stati commessi da ambo le parti: una maggiore partecipata progettazione con la città avrebbe forse garantito una condivisione, invece di creare fratture e avrebbe potuto dar luogo a sinergie produttive positive per molte realtà della città. Per un altro verso un amministrazione maggiormente coesa e sensibile alle necessità del territorio avrebbe, supportata da associazioni e comitati mossi da concrete motivazioni e non ideologizzate, potuto dare un servizio ed un’immagine degne di una pubblica dirigenza in grado di saper ben gestire ed attrarre le risorse e le energie di cui questa città ha estremamente bisogno.
Quattrocento posti di lavoro e tutto l’indotto che questo investimento sarà capace di attrarre non sono certo trascurabili per la futura economia di Venezia, insomma un contenitore che salvaguardi non solo l’aspetto commerciale dell’investimento, ma che consenta attività culturali e sociali al momento nel centro storico non esiste.
Una realtà che probabilmente ridistribuirà nel territorio i flussi turistici, che al momento gravitano per lo più solo nella area marciana, consentendo di rivitalizzare al contempo una zona caratterizzata da uffici.
Forse, dopo il voto del Consiglio Comunale, un approccio meno ideologizzato da parte di tutti potrà far tesoro di questo martoriato processo decisionale consentendo di attirare in un prossimo futuro nuovi investitori che possano mettere al centro dei loro progetti il nostro territorio e le necessità sociali e culturali delle persone che lo abitano .

martedì 19 marzo 2013

Era uscito ad Aquileia .....

Case aperte ai disoccupati, meno salotti, più periferie. Il nuovo stile dei Vescovi di Francesco Chiamulera
La Chiesa veneta / 1: chi rinuncia al segretario, chi all’auto. “Anche i preti rivedano il tenore di vita”. La Chiesa nell’era di papa Francesco

Venezia - «Pronto, parlo con la Curia di Rovigo? Mi può passare Sua Eccellenza?». «Sono io. Mi scusi se non ho risposto prima, ma nelle ultime due ore ero in giro per la diocesi, a visitare alcune parrocchie, e sono rientrato solo ora». Che cosa si può chiedere, in tema di sobrietà francescana, a un vescovo che risponde al telefono della curia perché non si preoccupa di avere filtri, e si muove nel territorio della propria diocesi con una piccola automobile, che per giunta guida da solo perché non vuole alcun autista? Monsignor Lucio Soravito, vescovo di Adria-Rovigo, ha salutato con gioia l'elezione di papa Francesco e i suoi primi, suggestivi gesti simbolici, ma in fondo si può dire che ne abbia sempre condiviso lo spirito e lo stile. «Ho una macchina vecchia nove anni, che mi ha regalato la diocesi al momento del mio insediamento», spiega. «Ho avuto un segretario, ma con il calo delle vocazioni c'è bisogno di preti sul territorio e quindi gli ho chiesto di andare, mi arrangio da solo. Anche nella cura pastorale delle chiese del territorio». Un nuovo fermento agita i vescovi veneti in questi giorni così evocativi, dove i segnali di rinnovamento che vengono da Roma («voglio una Chiesa povera», ha detto Francesco, il che - si fa notare - va ben oltre la «Chiesa dei poveri») trovano immediato riscontro nelle omelie e nei discorsi di queste ore dei prelati. «Il papa ci sta dando l'esempio», ha detto ai fedeli Giuseppe Zenti, vescovo di Verona. «Sono gesti significativi, dalla rinuncia all'auto papale fino al semplice crocifisso di ferro. Siamo chiamati a rivedere tutti noi il nostro tenore di vita, anche i preti e le diocesi». Un nuovo corso che, in terra veneta, si è cominciato a intravedere fin dalla nomina a patriarca di Francesco Moraglia, un anno fa. Il nuovo capo dei vescovi triveneti ha impostato la Chiesa sotto l'aspetto di un maggiore rigore anche contabile, non solo per quanto riguarda la diocesi di Venezia, ma con effetti su tutto il Nordest. Ha dato incarico a don Dino Pistolato, non a caso direttore della Caritas di Venezia, di farsi nuovo amministratore finanziario della diocesi, con un'imponente revisione delle spese della Curia. Uomo molto sobrio anche sul piano dei costumi personali, Moraglia una volta insediatosi ha subito ceduto la vettura ammiraglia in uso prima al patriarcato, preferendole una semplice utilitaria. Incontra gli operari disoccupati, gira per le fabbriche di Marghera. E' noto che la Chiesa del Triveneto, insieme con quella milanese, è la più potente d'Italia. Non solo per quanto attiene al patrimonio immobiliare, ma anche in termini di collette: i milioni raccolti superano di alcune distanze persino la diocesi di Roma. E proprio un diverso utilizzo delle risorse di cui la Chiesa dispone è stato uno dei temi-cardine del secondo sinodo delle chiese del Nordest, l'anno scorso. Ad Aquileia, a distanza di vent'anni dalla prima riunione, che diede l'avvio ai primi esperimenti di televisioni diocesane ed era molto centrata sul tema della comunicazione e della mediatizzazione del messaggio religioso, il clero nordestino ha parlato di argomenti diversi, a cominciare da un differente utilizzo dei beni immobiliari. Da donare, liquidare, in alcuni casi, o da mettere a beneficio dei più poveri, dei malati, dei bisognosi. A Vicenza, per esempio, ci hanno già pensato. Sotto la guida del vescovo Beniamino Pizziol (che è stato vicario di Scola quando era patriarca) monasteri e conventi occupati da decenni da ordini che erano ridotti all'osso numericamente, o da prelati anziani, stanno venendo riconvertiti per altri utilizzi, prevalentemente a carattere sociale. E' di poche settimane fa la notizia che uno di questi edifici è stato destinato ad alloggio per i padri separati o disoccupati, «che da figure rispettate spesso passano a veri e propri esclusi sociali», fanno notare alla Caritas locale. Così, mentre le curie completavano la vendita proprio di una di quelle emittenti (Telechiara) nate vent'anni soprattutto sotto la spinta della diocesi di Padova, fa e ora «non più economicamente sostenibili», in questi giorni un vescovo veneto ha staccato un assegno a diversi zeri per l'acquisto di... coperte per i poveri. Nello stile di Francesco: senza dirlo ai media, con semplicità e soprattutto discrezione. «Ho potuto constatare il grande entusiasmo dei miei diocesani per l'elezione di Francesco» commenta Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno-Feltre». «Umiltà e la semplicità, anche nel modo di vestire, ma senza esibizioni, con naturalezza, questo deve essere lo stile anche per noi». Nelle Dolomiti il paragone più ovvio che circola è quello con Albino Luciani, Giovanni Paolo I, di Canale d'Agordo, anch'egli fautore, come Francesco, di una Chiesa più povera, più francescana, fin dal motto scelto, «humiltas». Andrich è molto esplicito nell'individuare il percorso da intraprendere e non risparmia qualche stoccata: «si parla di una Chiesa più aperta, ma essere aperti non vuol dire solo frequentare i grandi intellettuali, ma stare vicino alla gente, agli emarginati, agli ultimi». Come dire: cari confratelli nell'episcopato, meno salotti, più periferie. I vescovi del Nordest, trapela in queste ore, non sono stati a guardare nemmeno durante il conclave che ha eletto il nuovo Papa, quando alcuni di essi si sarebbero mossi - dalla distanza, ovviamente - per sostenere la candidatura di Bergoglio, nelle stesse ore in cui le previsioni davano l'ex patriarca Angelo Scola. «Avete vissuto con rammarico che non sia stato scelto un italiano, o un veneto? «A Roma, la Chiesa non è né italiana, né romana, ma universale...», taglia corto Andrich. «E poi», sorride, «ben tre Papi del Novecento venivano dal Patriarcato di Venezia. Possiamo accontentarci».

venerdì 15 marzo 2013

I tre movimenti della vita: camminare, edificare, confessare di Jorge Mario Bergoglio L’omelia del Papa

Ieri pomeriggio, alle 17, nella Cappella Sistina, papa Francesco ha celebrato la Santa Messa «pro Ecclesia» (per la Chiesa) con i cardinali elettori che hanno partecipato al Conclave. Nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo, commentando le letture (Isaia 2, 2-5; Pietro 2, 4-9; Matteo 16, 13-19), papa Francesco ha tenuto l'omelia che pubblichiamo di seguito.

In queste tre Letture vedo che c'è qualcosa di comune: è il movimento. Nella Prima Lettura il movimento nel cammino; nella Seconda Lettura, il movimento nell'edificazione della Chiesa; nella terza, nel Vangelo, il movimento nella confessione. Camminare, edificare, confessare. Camminare. «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile. Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa. Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la Sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare. Terzo, confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una Ong assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre, cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: «Chi non prega il Signore, prega il diavolo». Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio. Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro. Questo Vangelo prosegue con una situazione speciale. Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di Croce. Questo non c'entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la Croce. Quando camminiamo senza la Croce, quando edifichiamo senza la Croce e quando confessiamo un Cristo senza Croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo Vescovi, Preti, Cardinali, Papi, ma non discepoli del Signore. Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, avessimo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la Croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla Croce; e di confessare l'unica gloria: Cristo Crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti. Io auguro a tutti noi che lo Spirito Santo, per la preghiera della Madonna, nostra Madre, ci conceda questa grazia: camminare, edificare, confessare Gesù Cristo Crocifisso. Così sia.

venerdì 8 marzo 2013

Caro 8 marzo....

Caro 8 marzo,
ti conosco da tantissimi anni e, siccome sei un amico e ti voglio bene, vorrei dirti alcune cose che mi stanno a cuore.
Anche quest'anno ci incontreremo, ma ho paura che questa volta molte cose siano cambiate, non credo proprio più tu ti bebba agghindare con chili di mimose e vestiti elegantissimi da concerto o da conferenza, i tempi sono cambiati e la crisi sociale ed economica incombe sulla nostra testa come un cappello da funerale .
Vorrei tanto che quest'anno tu ti vestissi in maniera semplice, sobria ed economica.
Vorrei che i soldi che tu spendi per fiori, conferenze, feste, concerti, li spendessi per educare al rispetto personale, per far capire agli italiani (tutti, anche i politici) che ogni cittadino del nostro paese deve essere ascoltato, accolto ed aiutato a realizzare le sue aspirazioni .
Insomma meno chiacchere e più azioni concrete, ma sopprattutto non solo delimitate al nostro incontro annuale .
Non siamo in un bel periodo, come ti ho già detto, molte donne sono uccise o subiscono violenza dai loro compagni e tante famiglie non arrivano alla fine del mese, ma questo deve darci la possibilità di riscoprire vecchi valori come il rispetto per la storia di tutti , la solidarietà e la sobrietà, valori che le donne e gli uomini d'Italia potrebbero cercare di insegnare ai loro figli ogni giorno,
Anche qui a Venezia la nostra amministrazione sembra sia incapace di capire che il tuo incontrarti non debba restringersi al poco tempo che ci concedi, ti prego cerca di far loro capire che la tua sobrietà è un valore a cui devono seguire pochissime parole, ma moltissime azioni concrete
Un abbraccio
Anna Brondino