Domenica, 21 Luglio 2013
Battesimi in calo: «Ripensiamo la pastorale»
U
n invito a ripensare profondamente la catechesi, la pastorale, la vita stessa delle comunità cristiane. Questo emerge dal "sondaggio" promosso da GV tra alcuni laici della diocesi, all'indomani della pubblicazione dei dati sui battesimi (GV n. 28) che mette in evidenza come il sacramento di iniziazione alla vita cristiana non sia più così scontato. Otto bambini battezzati ogni dieci nati (contando solo gli italiani): è questo il dato medio nel territorio del Patriarcato ed è come una crepa su di un muro, destinata ad allargarsi sempre di più. A meno che non si provi in qualche modo ad invertire la tendenza.

«Questa è la realtà e occorre prenderne atto lucidamente», osservaMarco Da Ponte. «Forse il 100% dei battezzati di un tempo rispondeva ad un bisogno di normalizzazione sociale, più che ad una scelta convinta. Questo dato ci riporta ad una realtà effettiva e si tratta di un trend destinato a peggiorare. Assistiamo ad una trasformazione culturale che è effetto della secolarizzazione».
Sono dati che stanno addirittura al di sotto del fenomeno, rileva Giovanni Benzoni, «un fenomeno che consiste nell'essere usciti da una tradizione che ha dato molti frutti ma che oggi è del tutto inaridita. E' dovere di ogni credente che ha avuto il dono del battesimo rendere di nuovo feconda questa tradizione».
A questo punto occorre individuare il "come". «Le comunità dovrebbero farsi più vicine alle coppie giovani», è ad esempio l'invito di Nicola Chiarot. «Capita che arrivino coppie che chiedono il battesimo per i figli e poi in chiesa non si fanno più vedere». E altre ancora non si presentano proprio, rinunciando direttamente al sacramento. E' qui che la comunità cristiana è chiamata ad intervenire. «Le famiglie che frequentano la parrocchia - aggiunge Chiarot - dovrebbero avvicinarsi ai nuovi nuclei familiari, avere un po' di coraggio e provare ad accompagnare queste coppie attraverso la propria testimonianza. Dovrebbero iniziare un percorso di relazione, sostenere questi genitori nella scelta del battesimo e poi nel proseguire la vita all'interno della comunità. In questo Anno della fede si potrebbe ripensare alla pastorale familiare in questo senso».
Di ripensamento parla anche Anna Brondino: «Va ripensata la catechesi, vanno ripensati i corsi di formazione per il matrimonio. Seguire la coppia che si sposa in chiesa e che in questo modo dà inizio ad una nuova vita, matrimoniale e genitoriale».
C'è di fatto un vuoto nella catechesi, sottolinea Anna Brondino che da trent'anni è catechista in parrocchia: «E' il vuoto dagli zero ai sei anni. E andrebbe in qualche modo colmato». Rivolgersi ai bambini, per "intercettare" i genitori. «Vediamo che capitano dei ritorni. Quando i bambini vengono a catechismo per preparare la prima comunione ci sono famiglie che, dopo essersi allontanate, si riavvicinano e tornano a frequentare la parrocchia». Ma a questo punto, dopo aver ripreso i contatti, deve entrare in gioco la catechesi per gli adulti. «Il catechista che avvicina i genitori che accompagnano il figlio a catechismo ha una occasione straordinaria di fare evangelizzazione degli adulti. Ma qui va fatto un grosso lavoro di catechesi e di formazione. I catechisti devono essere preparati a rapportarsi con un mondo che non è più quello tradizionale, le famiglie non sono più solo quelle tradizionali. E noi catechisti - aggiunge Brondino - dobbiamo essere preparati ad accogliere, con la formazione adeguata. Mi rendo conto, pensando alla mia esperienza personale, che tante persone avvertono il bisogno di essere avvicinate, accolte. C'è molta solitudine e noi abbiamo l'occasione per fare una sorta di pastorale occasionale. Per questo dobbiamo attrezzarci per lavorare sugli adulti, con gli strumenti giusti, per intercettare queste persone, uscendo anche dalla chiesa, dalle sacrestie, guardando prima di tutto alla persona e alle sue esigenze. Poi verrà anche la pastorale. Credo vi sia bisogno di una riconversione da parte nostra, di una svolta culturale. Ed è quanto sta chiedendo Papa Francesco, ma è anche quanto è emerso lo scorso anno ad Aquileia».
Lavorare dunque sui genitori, sulle giovani coppie. Lo sostiene ancheMarco Da Ponte. «Serve una diffusione capillare, non tanto dei corsi per preparare gli sposi alle nozze, ma per fare in modo che quei giovani sposi si trovino in un ambiente accogliente. La parrocchia sia una famiglia di famiglie che accompagnano gli sposi alla scoperta graduale del loro matrimonio con una prospettiva di fede per i loro figli. E quando si prepara al battesimo si deve lavorare non tanto per preparare i genitori alla cerimonia, ma per renderli consapevoli che essi assumono su di sé la responsabilità di trasmettere la fede ai figli». E poiché il fenomeno non è solo veneziano, ma è ben presente in tante altre diocesi (e in altri paesi d'Europa), Da Ponte suggerisce di guardare anche all'esempio e alle esperienze di altri: «Non facciamo il solito errore, tipicamente veneziano, di voler inventare per primi la soluzione». Non si parte da zero comunque: «Il lavoro fatto dalla commissione pastorale sposi è una base di partenza, ma va recepito. Ora c'è un lavoro capillare da fare in parrocchia, nell'accogliere gli sposi giovani e nel mettersi a disposizione, calibrando i ritmi e le proposte in base alle loro esigenze che sono certamente diverse da quelle dei parrocchiani sessantenni... Vanno favoriti gli incontri con le altre coppie giovani, mettendo anche a disposizione servizi di baby sitting, in orari per loro più agevoli. Va insomma - chiude Da Ponte - cambiata la mentalità».
Molto importante è poi la testimonianza che può portare l'effetto "contagio" come lo definisce Enrico Moschini: «Se una persona vede che io ho qualcoa di bello, un segno che desta il suo interesse, quella persona lo vorrà per sé. Vale anche per l'evangelizzazione, partendo da dei segni che destino l'interesse delle persone, delle famiglie. Le parrocchie, dunque, devono saper evangelizzare. E cogliere l'occasione che si ha quando una famiglia chiede di battezzare il figlio: è un'opportunità di evangelizzazione, ogni bambino che nasce è una chance. Ma occorre saper offrire qualcosa di allettante e noi cristiani ce l'abbiamo, ma occorre averne coscienza, saper accogliere e annunciare».
Il battesimo, conclude Giovanni Benzoni, è un dono che va scoperto e riscoperto da tutti. «E la relazione tra le persone deve avere la preminenza sugli aspetti organizzativi, pur necessari. E' chiaro che quanto più è aperta e missionaria la comunità, tanto è più probabile che sia ricompensata da generosi frutti».
Serena Spinazzi Lucchesi
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