La laicità è fondamentale, sia per il cittadino che per il cristiano. È legata alla struttura della persona che, nella sua realtà antropologicocreaturale, viene prima dello Stato (del cittadino) ma anche prima dell’adesione a qualsiasi religione (del credente). Per la Chiesa cattolica, poi, la fede – il “sì” a Gesù Cristo – non può che essere una scelta libera e responsabile. La risposta di Gesù a coloro che gli chiedevano se era lecito o no pagare il tributo a Cesare – «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21) – mostra un percorso sempre valido che va al di là di situazioni contingenti o di una singola epoca storica. Gesù pone una distinzione fondante e fondamentale: Dio e Cesare, nei loro ambiti specifici, sono interlocutori imprescindibili per l’uomo di ogni epoca. Fino ad allora né lo Stato ebraico con la sua teocrazia né l’impero romano con il culto a Cesare avevano raggiunto la vera laicità indicata da Gesù. In questa distinzione c’è la novità da cui deriva la forma moderna dello Stato, ossia la possibilità d’essere sia leali sudditi del “re”, pur essendo uomini di fede, sia veri credenti ed insieme autentici cittadini impegnati a lavorare per il bene della civis. Si tratta di riflettere, allora, sul concetto di laicità considerato come snodo essenziale, tanto nella vita del credente quanto del cittadino. Credente e cittadino devono innanzitutto guardarsi dai differenti tipi di confessionalismo, sia esso religioso che scientista o laicista. Molte sono le sue forme: c’è il confessionalismo che reca il marchio della credenza religiosa, quello tecnico-scientifico e, ancora, quello ideologico politico-culturale; tutti questi, a loro volta, diventano opprimenti e pervasivi nei confronti della libertà di coscienza sia dei credenti sia dei cittadini. La storia fornisce un ampio campionario che si dispiega nelle differenti epoche. Nel nostro ordinamento giuridico il termine “laicità” non compare nella legislazione ordinaria né risulta utilizzato dalla Costituzione per qualificare l’atteggiamento dello Stato in materia religiosa; è legato piuttosto alla giurisprudenza della Corte costituzionale che, in una famosa sentenza (la n. 203 del 1989), qualifica il principio di laicità come «principio supremo dell’ordinamento costituzionale» e «uno dei profili della forma di Stato delineato dalla Costituzione». È un principio di laicità inteso in senso “aperto” e “positivo”, che non indica o suggerisce l’indifferenza o, addirittura, l’ostilità dello Stato dinanzi alla religione (o alle religioni) ma piuttosto il compito di garanzia che spetta allo Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in un contesto accentuato di pluralismo confessionale e culturale. Lo Stato non può essere indifferente o neutrale dinanzi alla religione. E qui non è in ballo solo la religione cattolica. Lo Stato deve garantire la tutela della libertà religiosa come diritto fondamentale e inalienabile della persona, come diritto valido per tutti. Una sana laicità è in grado di riconoscere, di rispettare e di valorizzare tanto la sfera sacrale/religiosa quanto quella profana/secolare nell’interesse del cittadino. Di ogni cittadino e di tutti i cittadini. Una vera laicità comporta il riconoscimento delle molteplici dimensioni dell’uomo che è spirito, anima e corpo (cfr. 1 Ts 5,23): l’uomo è immanenza e trascendenza, relazionalità verticale (o teologica) e orizzontale (o antropologica), interiorità ed esteriorità. L’uomo è l’insieme di tutte queste dimensioni e tra di esse vi è anche quella religiosa che dev’essere vissuta in modo “pienamente umano”. Appare quindi tutta l’incongruenza di chi, invece, vorrebbe rinchiudere la fede (la religione) nel recinto interiore della coscienza personale. Il Concilio Ecumenico Vaticano II – al n. 36 della Gaudium et spes – ha parlato dell’autonomia delle realtà terrene affermando che, insieme alle leggi che regolano la vita delle società civili, esse godono di legittima autonomia ma, nello stesso tempo, tale autonomia non è mai qualcosa d’assoluto: sottostà ad una valutazione morale che non è di qualcuno ma è il riconoscimento di qualcosa che viene prima della sfera religiosa e politica, prima della tecnoscienza. Così, di fronte a questioni altissime come quelle della vita, non c’è legge dello Stato che tenga e in ultima istanza, per opporsi ad un’ingiustizia altrimenti irreparabile, si dà la legittimità dell’obiezione di coscienza. Ricordiamo le ultime parole di Tommaso Moro, figura luminosa e attualissima: « Muoio come buon servo del Re, ma anzitutto come servo di Dio». La festa del Redentore spinga credenti e non credenti a riscoprire il senso di una laicità che porta a vivere nel rispetto delle prerogative antropologiche fondamentali e non mira a ridurre e a costringere nel chiuso della coscienza individuale i propri convincimenti, iniziando da quelli religiosi. La laicità sia un ponte gettato verso quanti non hanno il nostro modo di “sentire” ma hanno a cuore l’uomo, tutto l’uomo – non solo una sua parte – e, ancora, tutti gli uomini e, alla fine, il bene comune.
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