martedì 19 marzo 2013

Era uscito ad Aquileia .....

Case aperte ai disoccupati, meno salotti, più periferie. Il nuovo stile dei Vescovi di Francesco Chiamulera
La Chiesa veneta / 1: chi rinuncia al segretario, chi all’auto. “Anche i preti rivedano il tenore di vita”. La Chiesa nell’era di papa Francesco

Venezia - «Pronto, parlo con la Curia di Rovigo? Mi può passare Sua Eccellenza?». «Sono io. Mi scusi se non ho risposto prima, ma nelle ultime due ore ero in giro per la diocesi, a visitare alcune parrocchie, e sono rientrato solo ora». Che cosa si può chiedere, in tema di sobrietà francescana, a un vescovo che risponde al telefono della curia perché non si preoccupa di avere filtri, e si muove nel territorio della propria diocesi con una piccola automobile, che per giunta guida da solo perché non vuole alcun autista? Monsignor Lucio Soravito, vescovo di Adria-Rovigo, ha salutato con gioia l'elezione di papa Francesco e i suoi primi, suggestivi gesti simbolici, ma in fondo si può dire che ne abbia sempre condiviso lo spirito e lo stile. «Ho una macchina vecchia nove anni, che mi ha regalato la diocesi al momento del mio insediamento», spiega. «Ho avuto un segretario, ma con il calo delle vocazioni c'è bisogno di preti sul territorio e quindi gli ho chiesto di andare, mi arrangio da solo. Anche nella cura pastorale delle chiese del territorio». Un nuovo fermento agita i vescovi veneti in questi giorni così evocativi, dove i segnali di rinnovamento che vengono da Roma («voglio una Chiesa povera», ha detto Francesco, il che - si fa notare - va ben oltre la «Chiesa dei poveri») trovano immediato riscontro nelle omelie e nei discorsi di queste ore dei prelati. «Il papa ci sta dando l'esempio», ha detto ai fedeli Giuseppe Zenti, vescovo di Verona. «Sono gesti significativi, dalla rinuncia all'auto papale fino al semplice crocifisso di ferro. Siamo chiamati a rivedere tutti noi il nostro tenore di vita, anche i preti e le diocesi». Un nuovo corso che, in terra veneta, si è cominciato a intravedere fin dalla nomina a patriarca di Francesco Moraglia, un anno fa. Il nuovo capo dei vescovi triveneti ha impostato la Chiesa sotto l'aspetto di un maggiore rigore anche contabile, non solo per quanto riguarda la diocesi di Venezia, ma con effetti su tutto il Nordest. Ha dato incarico a don Dino Pistolato, non a caso direttore della Caritas di Venezia, di farsi nuovo amministratore finanziario della diocesi, con un'imponente revisione delle spese della Curia. Uomo molto sobrio anche sul piano dei costumi personali, Moraglia una volta insediatosi ha subito ceduto la vettura ammiraglia in uso prima al patriarcato, preferendole una semplice utilitaria. Incontra gli operari disoccupati, gira per le fabbriche di Marghera. E' noto che la Chiesa del Triveneto, insieme con quella milanese, è la più potente d'Italia. Non solo per quanto attiene al patrimonio immobiliare, ma anche in termini di collette: i milioni raccolti superano di alcune distanze persino la diocesi di Roma. E proprio un diverso utilizzo delle risorse di cui la Chiesa dispone è stato uno dei temi-cardine del secondo sinodo delle chiese del Nordest, l'anno scorso. Ad Aquileia, a distanza di vent'anni dalla prima riunione, che diede l'avvio ai primi esperimenti di televisioni diocesane ed era molto centrata sul tema della comunicazione e della mediatizzazione del messaggio religioso, il clero nordestino ha parlato di argomenti diversi, a cominciare da un differente utilizzo dei beni immobiliari. Da donare, liquidare, in alcuni casi, o da mettere a beneficio dei più poveri, dei malati, dei bisognosi. A Vicenza, per esempio, ci hanno già pensato. Sotto la guida del vescovo Beniamino Pizziol (che è stato vicario di Scola quando era patriarca) monasteri e conventi occupati da decenni da ordini che erano ridotti all'osso numericamente, o da prelati anziani, stanno venendo riconvertiti per altri utilizzi, prevalentemente a carattere sociale. E' di poche settimane fa la notizia che uno di questi edifici è stato destinato ad alloggio per i padri separati o disoccupati, «che da figure rispettate spesso passano a veri e propri esclusi sociali», fanno notare alla Caritas locale. Così, mentre le curie completavano la vendita proprio di una di quelle emittenti (Telechiara) nate vent'anni soprattutto sotto la spinta della diocesi di Padova, fa e ora «non più economicamente sostenibili», in questi giorni un vescovo veneto ha staccato un assegno a diversi zeri per l'acquisto di... coperte per i poveri. Nello stile di Francesco: senza dirlo ai media, con semplicità e soprattutto discrezione. «Ho potuto constatare il grande entusiasmo dei miei diocesani per l'elezione di Francesco» commenta Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno-Feltre». «Umiltà e la semplicità, anche nel modo di vestire, ma senza esibizioni, con naturalezza, questo deve essere lo stile anche per noi». Nelle Dolomiti il paragone più ovvio che circola è quello con Albino Luciani, Giovanni Paolo I, di Canale d'Agordo, anch'egli fautore, come Francesco, di una Chiesa più povera, più francescana, fin dal motto scelto, «humiltas». Andrich è molto esplicito nell'individuare il percorso da intraprendere e non risparmia qualche stoccata: «si parla di una Chiesa più aperta, ma essere aperti non vuol dire solo frequentare i grandi intellettuali, ma stare vicino alla gente, agli emarginati, agli ultimi». Come dire: cari confratelli nell'episcopato, meno salotti, più periferie. I vescovi del Nordest, trapela in queste ore, non sono stati a guardare nemmeno durante il conclave che ha eletto il nuovo Papa, quando alcuni di essi si sarebbero mossi - dalla distanza, ovviamente - per sostenere la candidatura di Bergoglio, nelle stesse ore in cui le previsioni davano l'ex patriarca Angelo Scola. «Avete vissuto con rammarico che non sia stato scelto un italiano, o un veneto? «A Roma, la Chiesa non è né italiana, né romana, ma universale...», taglia corto Andrich. «E poi», sorride, «ben tre Papi del Novecento venivano dal Patriarcato di Venezia. Possiamo accontentarci».

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