La
Chiesa veneta / 1: chi rinuncia al segretario, chi all’auto. “Anche i preti rivedano
il tenore di vita”. La Chiesa nell’era di papa Francesco
Venezia
- «Pronto, parlo con la Curia di Rovigo? Mi può passare Sua Eccellenza?». «Sono
io. Mi scusi se non ho risposto prima, ma nelle ultime due ore ero in giro per
la diocesi, a visitare alcune parrocchie, e sono rientrato solo ora». Che cosa
si può chiedere, in tema di sobrietà francescana, a un vescovo che risponde al
telefono della curia perché non si preoccupa di avere filtri, e si muove nel
territorio della propria diocesi con una piccola automobile, che per giunta
guida da solo perché non vuole alcun autista? Monsignor Lucio Soravito, vescovo
di Adria-Rovigo, ha salutato con gioia l'elezione di papa Francesco e i suoi
primi, suggestivi gesti simbolici, ma in fondo si può dire che ne abbia sempre
condiviso lo spirito e lo stile. «Ho una macchina vecchia nove anni, che mi ha
regalato la diocesi al momento del mio insediamento», spiega. «Ho avuto un
segretario, ma con il calo delle vocazioni c'è bisogno di preti sul territorio
e quindi gli ho chiesto di andare, mi arrangio da solo. Anche nella cura
pastorale delle chiese del territorio». Un nuovo fermento agita i vescovi
veneti in questi giorni così evocativi, dove i segnali di rinnovamento che
vengono da Roma («voglio una Chiesa povera», ha detto Francesco, il che - si fa
notare - va ben oltre la «Chiesa dei poveri») trovano immediato riscontro nelle
omelie e nei discorsi di queste ore dei prelati. «Il papa ci sta dando
l'esempio», ha detto ai fedeli Giuseppe Zenti, vescovo di Verona. «Sono gesti
significativi, dalla rinuncia all'auto papale fino al semplice crocifisso di
ferro. Siamo chiamati a rivedere tutti noi il nostro tenore di vita, anche i
preti e le diocesi». Un nuovo corso che, in terra veneta, si è cominciato a
intravedere fin dalla nomina a patriarca di Francesco Moraglia,
un anno fa. Il nuovo capo dei vescovi triveneti ha impostato la Chiesa sotto
l'aspetto di un maggiore rigore anche contabile, non solo per quanto riguarda
la diocesi di Venezia, ma con effetti su tutto il Nordest. Ha dato incarico a
don Dino Pistolato, non a caso direttore della Caritas di Venezia, di farsi
nuovo amministratore finanziario della diocesi, con un'imponente revisione
delle spese della Curia. Uomo molto sobrio anche sul piano dei costumi
personali, Moraglia una volta insediatosi ha subito
ceduto la vettura ammiraglia in uso prima al patriarcato, preferendole una
semplice utilitaria. Incontra gli operari disoccupati, gira per le fabbriche di
Marghera. E' noto che la Chiesa del Triveneto, insieme con quella milanese, è
la più potente d'Italia. Non solo per quanto attiene al patrimonio immobiliare,
ma anche in termini di collette: i milioni raccolti superano di alcune distanze
persino la diocesi di Roma. E proprio un diverso utilizzo delle risorse di cui
la Chiesa dispone è stato uno dei temi-cardine del secondo sinodo delle chiese
del Nordest, l'anno scorso. Ad Aquileia, a distanza
di vent'anni dalla prima riunione, che diede l'avvio ai primi esperimenti di
televisioni diocesane ed era molto centrata sul tema della comunicazione e
della mediatizzazione del messaggio religioso, il
clero nordestino ha parlato di argomenti diversi, a
cominciare da un differente utilizzo dei beni immobiliari. Da donare,
liquidare, in alcuni casi, o da mettere a beneficio dei più poveri, dei malati,
dei bisognosi. A Vicenza, per esempio, ci hanno già pensato. Sotto la guida del
vescovo Beniamino Pizziol (che è stato vicario di Scola quando era patriarca)
monasteri e conventi occupati da decenni da ordini che erano ridotti all'osso
numericamente, o da prelati anziani, stanno venendo riconvertiti per altri
utilizzi, prevalentemente a carattere sociale. E' di poche settimane fa la
notizia che uno di questi edifici è stato destinato ad alloggio per i padri
separati o disoccupati, «che da figure rispettate spesso passano a veri e
propri esclusi sociali», fanno notare alla Caritas locale. Così, mentre le
curie completavano la vendita proprio di una di quelle emittenti (Telechiara)
nate vent'anni soprattutto sotto la spinta della diocesi di Padova, fa e ora
«non più economicamente sostenibili», in questi giorni un vescovo veneto ha
staccato un assegno a diversi zeri per l'acquisto di... coperte per i poveri.
Nello stile di Francesco: senza dirlo ai media, con semplicità e soprattutto discrezione.
«Ho potuto constatare il grande entusiasmo dei miei diocesani per l'elezione di
Francesco» commenta Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno-Feltre». «Umiltà e la
semplicità, anche nel modo di vestire, ma senza esibizioni, con naturalezza,
questo deve essere lo stile anche per noi». Nelle Dolomiti il paragone più
ovvio che circola è quello con Albino Luciani,
Giovanni Paolo I, di Canale d'Agordo, anch'egli
fautore, come Francesco, di una Chiesa più povera, più francescana, fin dal
motto scelto, «humiltas». Andrich è molto esplicito
nell'individuare il percorso da intraprendere e non risparmia qualche stoccata:
«si parla di una Chiesa più aperta, ma essere aperti non vuol dire solo
frequentare i grandi intellettuali, ma stare vicino alla gente, agli emarginati,
agli ultimi». Come dire: cari confratelli nell'episcopato, meno salotti, più
periferie. I vescovi del Nordest, trapela in queste ore, non sono stati a
guardare nemmeno durante il conclave che ha eletto il nuovo Papa, quando alcuni
di essi si sarebbero mossi - dalla distanza, ovviamente - per sostenere la
candidatura di Bergoglio, nelle stesse ore in cui le
previsioni davano l'ex patriarca Angelo Scola. «Avete vissuto con rammarico che
non sia stato scelto un italiano, o un veneto? «A Roma, la Chiesa non è né
italiana, né romana, ma universale...», taglia corto Andrich. «E poi», sorride,
«ben tre Papi del Novecento venivano dal Patriarcato di Venezia. Possiamo
accontentarci».
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