martedì 24 luglio 2012
Sognare statisti di Marina Corradi Chi pensa alla “classe del 2020”?
A Mosca, Mario Monti ha citato De Gasperi: «Un
politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime
generazioni». Pochi giorni dopo la nomina, il premier prestato alla politica
aveva detto la stessa cosa: in sostanza, che per molti anni in Italia si è
governato pensando al consenso elettorale, e trascurando scelte impopolari ma
necessarie. E chi, non addetto ai lavori, ascoltava, si era chiesto come è
possibile governare per il bene di un Paese se ci si fa guidare dai sondaggi
del consenso come dalla vera bussola. Allora la libertà di un tecnico che non
intende ricandidarsi sarebbe una parentesi di buon senso nella corrente della demagogia?
Mario Monti ambisce a restare nella memoria degli italiani come uno statista, e
una buona parte di noi, pure nell’affanno di questi mesi, si augura che così
sia; come quando un aereo incontra una tempesta e sobbalza ai vuoti d’aria, e i
passeggeri si augurano cordialmente che il pilota ci sappia fare. Ma non è di
Monti che vorremmo parlare. Invece, di quel dilemma indicato da De Gasperi, che
divide la politica rivolta solo alle urne dal progetto lungimirante, di ampio
respiro, teso alle generazioni che verranno. Categoria davvero poco appetibile,
questa, in termini di ritorno elettorale: non solo le future generazioni non
votano, ma spesso non sono neanche ancora al mondo. Non votano, i nostri figli
e nipoti classe 2020, non nati ma che potrebbero forse nascere con delle
politiche familiari meno miopi. Pensare a fermare il calo demografico dunque è
cosa da statista; e il fatto che da tempo invece ben pochi sembrino
preoccuparsene, fa mal pensare. Quanti statisti abbiamo avuto, dalla fine della
Prima Repubblica? Con il metro dell’aforisma di De Gasperi, si direbbe, pochi.
Abbiamo avuto invece innumerevoli politici. Naturalmente, comprensibilmente,
preoccupati di farsi rieleggere. Ma l’impressione è che il tornaconto
elettorale per buona parte della classe dirigente della Seconda Repubblica sia
diventato il pensiero fondante; l’unico sopravvissuto, nella morìa di ideali e ideologie della fine degli anni 90. Con
inquietudine noi, profani dei Palazzi, leggiamo i sondaggi che con frequenza
nevrotica valutano gli umori degli italiani. Che i più siano sfavorevoli
all’aumento dell’età della pensione, beh, lo si poteva immaginare. Che ogni
categoria sfiorata da una liberalizzazione insorga, anche. Ma c’è qualcosa che
più della sbarretta del consenso in quei grafici dovrebbe interessare chi
governa: l’idea di un bene comune, più grande di quello di ciascuna delle
parti. Utopia? Eppure la storia testimonia che ci sono stati, tempi in cui a
Roma si sono preoccupati di alfabetizzare gli italiani, o di garantire cure
mediche a tutti. Qualcuno ha pure gettato le fondamenta, di questo Paese. E
ora? È un contagio della febbre mediatica dell’audience, questa ossessione di
misurare il gradimento e correggere di conseguenza la rotta? L’altro giorno il
filosofo Pietro Barcellona, ci diceva della sua Sicilia: «Qui è venuta a
mancare totalmente una classe dirigente». Solo in Sicilia, professore? –
volevamo chiedergli. La fine delle ideologie del Novecento ci ha lasciato una
politica fedelmente devota al suo successo. Agli interessi di parte da
soddisfare, per averne un tangibile ritorno. Al vento delle mode del
politicamente corretto, da accarezzare. Che in una crisi come questa un partito
come il Pd si laceri attorno alla questione dei matrimoni gay, avrebbe lasciato
attoniti i vecchi compagni di un tempo. Non è forse il vento di un facile
consenso radical , che, si pensa, gonfierà le vele di
chi lo favorisca? Resta però un dubbio: se davvero questo sguardo di limitato
orizzonte rispecchi le aspirazioni degli elettori. Se veramente, come
profetizzò Pasolini, nel Dopoguerra la televisione sia passata «come un
trattore sulla coscienza degli italiani»; lasciandoci impoveriti e storditi,
dimentichi del senso del vivere insieme. Tutti? Girando per l’Italia fra
quartieri e scuole e oratori e ospedali si ha la sensazione che esista,
un’Italia che merita un’altra politica. Che vorrebbe ritrovare un respiro
ampio, un fiato lungo, che vorrebbe continuare la sua storia. E speri in
qualcuno che ci creda, che ci scommetta. Estinti, i De Gasperi? Sognare uno
statista; uno che pensi ai figli che non ci sono ancora.
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