martedì 10 luglio 2012
Contro la crisi la rivincita della carità di Bruno Forte
La trasformazione del pianeta in “villaggio
globale”, accelerata dall’esperienza della realtà virtuale consentita
dall’universo multimediale e dal “web”, incide anche sulla sfera religiosa e
spirituale. Fenomeni come il New Age o Era
dell’Acquario, dall’impatto vastissimo soprattutto nella cultura nord- e
sud-americana sembrano rispondere al bisogno di rassicurazione prodotto
dall’accelerazione dei cambiamenti attraverso una sorta di “gnosi” per il
popolo, in cui le sub-culture prodotte dalla dipendenza mediatica trovano
garanzie psicologiche e consolazioni a buon mercato, convenienti alle finalità delle
grandi agenzie di consenso economico e politico del pianeta. Ecco perché
diventa urgente individuare come il cristianesimo – nella varietà dei contesti
e delle sue tradizioni confessionali e specialmente nella pienezza della sua
espressione cattolica – debba contribuire a costruire in rapporto ad esse
un’umanità più giusta e felice, più unita e conforme al progetto divino di
salvezza. Tre ambiti di impegno si lasciano riconoscere come ineludibili per
tutte le Chiese e per il loro cammino comune: la risposta da dare al nuovo
bisogno di spiritualità, l’urgenza emergente della cattolicità e l’impegno al
servizio della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato. Si può
dire che la riflessione della fede del terzo millennio si giocherà intorno alla
martyrìa, alla koinonìa e
alla diakonìa, vissute dai cristiani. La via della martyrìa corrisponde a una ritrovata esigenza di
spiritualità emersa dalla parabola dell’epoca moderna: c’è bisogno di una
teologia più teologica, più collegata al vissuto spirituale. La modernità aveva
separato, se non addirittura contrapposto, il momento razionale e il momento
esperienziale della vita, producendo quel divorzio fra riflessione e
spiritualità, che aveva reso anche la teologia piuttosto arida e
intellettualistica e la spiritualità piuttosto sentimentale e intimistica.
L’epoca post-moderna spinge a saldare nuovamente questi due ambiti:
l’alternativa della fede all’astrattezza dell’ideologia sta nella possibilità
di sperimentare un rapporto personale con la Verità, nutrito di ascolto e
dialogo con il Dio vivo. La Verità non è qualcosa che si possiede, ma Qualcuno
dal quale lasciarsi possedere. Secondo la critica di moda negli anni
dell’ideologia rampante, la dimensione contemplativa della vita sembra offrirsi
come riserva di integralità umana e di autentica socialità. Si può quindi
supporre che il futuro del cristianesimo o sarà più spirituale e mistico, e
ricco di esperienze del Mistero divino, o potrà ben poco contribuire alla crisi
e al cambiamento in atto nel mondo. La ricerca di un nuovo consenso intorno
alle evidenze etiche domanda ai cristiani una risposta a partire dalla
testimonianza specifica della loro fede nel Dio di Gesù Cristo, anche per
evitare il rischio non indifferente di “riduzione al minimo comun denominatore”,
che sembra emergere in alcuni approcci interreligiosi alla questione etica.
Accanto alla via della martyrìa, quella della koinonìa corrisponde alla nostalgia di unità che si
affaccia nella “globalizzazione” del pianeta. In particolare, in Europa – culla
delle divisioni fra i cristiani – la disgregazione seguita al crollo del muro
di Berlino e l’emergere violento di regionalismi e nazionalismi sfidano le
Chiese a porsi come segno e strumento di riconciliazione fra loro e al servizio
dei loro popoli. Sul piano teologico è significativo che la riflessione
ecumenica, dopo aver dedicato una privilegiata attenzione alle forme
sacramentali, si concentri sul tema della koinonìa,
che esprime non solo un’esigenza di ripensamento ecclesiologico riguardo alla
struttura e alla vita interna delle Chiese, ma anche un’attenzione alla sfida
che il bisogno di unità emergente dalle nuove divisioni pone alle comunità
cristiane. Emerge una nuova, diffusa attenzione alla “cattolicità”, intesa sia
secondo il suo significato di universalismo geografico, reso più che mai
attuale proprio dai processi di “globalizzazione” del pianeta, sia secondo il
senso di pienezza e totalità, che rimanda all’integralità della fede e della
attualizzazione della memoria del Cristo. Non sorprende allora che in ambito
ecumenico si dedichi nuova attenzione all’unità universale nella Chiesa. Un
contributo notevole alla riscoperta della cattolicità, come esigenza e
condizione della missione cristiana, viene da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI:
il loro pontificato, caratterizzato da un’itineranza
apostolica, ha evidenziato la ricchezza della “regionalizzazione” della Chiesa
e ha ribadito le esigenze dell’unità dottrinale e pastorale sul piano
universale. La rilevanza di quest’azione è stata palese in alcuni cambiamenti
storico-politici, come quello della crisi del “socialismo reale”, ma va
considerata soprattutto nella sua specificità spirituale di riproposizione del
Vangelo come messaggio di vita e salvezza per le singole situazioni culturali e
per la crescita nell’unità e nella pace della famiglia umana. La prima decade
del Terzo Millennio indica questa direzione proponendola come un itinerario di
conversione e rinnovamento per tutti i credenti, chiamati a far memoria dei
doni di Dio, ma anche a riconoscere le proprie colpe, personali e collettive, e
a ripensare la propria identità e missione di fronte alle sfide del nuovo
millennio cristiano, specialmente in chiave ecumenica e nell’ottica del dialogo
interreligioso. Una teologia ecclesialmente responsabile
e aperta alle esigenze della cattolicità sembra più che mai necessaria. Infine,
la testimonianza evangelica della carità come diakonìa,
nell’impegno per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, appare
come il terzo grande campo di azione per il cristianesimo degli inizi del Terzo
Millennio in tutte le sue espressioni confessionali: le sfide della giustizia
sociale sono oggi interconnesse con i rapporti internazionali di dipendenza e
con la questione ecologica. Lo stretto intreccio appare con grande chiarezza
quando si considerino i processi in atto nella “globalizzazione”, superando
visuali regionalistiche, a volte troppo chiuse: il cristianesimo, religione
universale diffusa nei contesti storici e culturali più diversi, appare qui soggetto
privilegiato per tener desta una coscienza critica attenta a difendere la
qualità della vita per tutti e capace di farsi voce specialmente di chi non ha
voce e fronteggiare, con un impatto morale e spirituale di grande portata, le
logiche esclusive ed egoistiche delle grandi agenzie mondiali di potere
economico e politico. Di fronte alla crisi mondiale e all’avidità da cui essa è
stata generata la testimonianza del primato della carità è una sfida e una
promessa. I credenti devono contare solo sulla vitalità della loro fede e
l’operosità evangelica: tuttavia, il patrimonio spirituale che si esprime nella
vastissima rete di opere di volontariato e di solidarietà che la Chiesa ha
espresso con creatività, anche nel nostro tempo di mutamenti rapidi e spesso
drammatici, costituisce al tempo stesso un contributo e una proposta
all’umanità intera per l’edificazione di un “villaggio globale” che sia più a
misura umana. È significativo che la Chiesa sia intervenuta in termini inequivoci con l’Enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate sull’attuale forma in cui si presenta la questione
sociale. I cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni del secolo richiedono però
a tutte le Chiese di far propria la denuncia del sistema di dipendenze che
regge i rapporti specialmente fra il Nord e il Sud del mondo. A tutti è
domandato di contribuire a individuare una via economico-politica che superi le
rigidità del collettivismo e dei suoi fallimenti storici, e gli egoismi miopi
di un capitalismo assolutista e accentratore. Una teologia “militante” nel
servizio della carità e della ricerca di una più grande giustizia appare qui
come compito e sfida ineludibile.
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