lunedì 10 settembre 2012

Scola alle coppie divorziate: “Dio è vicino anche a voi”

Milano - A tre mesi di distanza da Benedetto XVI, e anzi usando praticamente le stesse parole pronunciate in giugno dal Papa a Milano, il cardinale Angelo Scola ribadisce che «Dio è vicino» anche «a chi ha il cuore ferito» per una separazione o un divorzio. Rilancia l'invito ai cristiani per la pratica di una vita che sia «più testimonianza che militanza». E dopo un'analisi storica che dall'Italia del dopoguerra approda alla «società plurale» dell'attualità si chiede: «La Chiesa, ferita dal peccato di taluni suoi membri, è ancora credibile agli occhi dell'uomo postmoderno?». La risposta è sì, dice il cardinale, a patto di non cercarla in «discutibili maestri del nostro tempo» ma nella Fede in Cristo: resistendo alle molte «tentazioni» - e Scola ne fa un lungo elenco - da cui essa viene spesso «messa alla prova». Questo e molto altro scrive l'arcivescovo di Milano nella Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino (Centro Ambrosiano, pp. 64, 2 euro) rivolta «a tutti, battezzati e non credenti», presentata ieri in Duomo e dedicata ai temi-guida indicati dal Papa per il 2012-2013 «Anno della Fede». Una sfida ardua, riconosce lo stesso Scola, se solo si considerano i cambiamenti degli ultimi sessant'anni: dalla «religiosità diffusa» ma anche «convenzionale» del dopoguerra sino al massiccio «abbandono della pratica cristiana» col '68, dalle «profonde ferite del terrorismo» alla «gaia rassegnazione della Milano da bere» sfociata infine nel «travaglio» di oggi con tutti i suoi aspetti «più inediti che epocali», dalle «biotecnologie» al «meticciato delle civiltà». La domanda che ne segue è impegnativa per forza: «In un simile contesto è ancora possibile proporre che al di fuori di Cristo non c'è salvezza?». Scola risponde ai cristiani che la via per farlo c'è ma richiede appunto, in contraddizione almeno apparente con la fama di ciellino da cui in questi mesi ha cercato peraltro ripetutamente di smarcarsi, «testimonianza più che militanza»: con i «linguaggi della gratitudine piuttosto che quelli del dovere», con tanto «silenzio» più che «moltiplicazione di parole», praticando la «comunicazione di un'esperienza» più che «l'affannosa ricerca del consenso». Anche se poi, 40 pagine dopo, ammonisce proprio contro la «tentazione di restare muti di fronte alle grandi questioni del nostro tempo come sessualità, matrimonio, famiglia, vita, politica e giustizia» avvertendo i cristiani che «proporre la loro esperienza» rappresenta comunque un «dovere» al quale quanti sono veramente «illuminati da una fede adulta non si sottraggono». E parole di comprensione non disgiunte da altre di avvertimento sono anche quelle rivolte ai «separati e divorziati» (termini che egli non usa mai, rinviandoli tuttavia alla esplicita citazione di Benedetto XVI) con la ribadita «attenzione» della Chiesa alle «molte famiglie segnate da difficoltà, incomprensioni e divisioni, legami abbandonati e costruiti con altri, con tutti i dolorosi contraccolpi provocati soprattutto sui più piccoli». Con una puntualizzazione: «Dio invita tutti a sentirsi a casa nella Chiesa al di là ogni pretesa», scrive Scola. E comunque una messa in guardia: contro ogni «modello di convivenza esile, sospeso all'emozione passionale e all'afasia che non sa esprimere la bellezza di un amore casto, di un fidanzamento serio, di un matrimonio cristiano».

Le parole del cardinale Angelo Scola, che ricorda Dio vicino anche alle coppie divorziate, riprendono una serie di aperture ambrosiane cominciate con Carlo Maria Martini, proseguite con Dionigi Tettamanzi e confermate dal Papa nella sua visita lo scorso giugno a Milano. Forse, più che di aperture, la Chiesa sente ora il bisogno di dialogo con i divorziati; discorsi nuovi, da scambiarsi. Se si volesse ricorrere a un'espressione di Martini (lettera sul «Corriere» del 27 novembre 2011) nessuno deve sentirsi «separato anche dall'amore di Dio». Del resto, molti divorziati soffrono per la mancanza di comprensione o per le esclusioni. È giunto il momento di aggiornare l'anagrafe morale: le condanne, utilizzando la regola dell'amore, a volte si trasformano in abbracci.

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