Mamme e lavoro fuori casa. Con una battuta potremmo
dire: come conciliare ciò che apparentemente è inconciliabile. Lo dimostrano i
dati del rapporto «Mamme nella Crisi» di Save the Children, presentato ieri a Roma alla presenza del ministro
del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero e
della vicepresidente del Senato Emma Bonino. In Italia mancano i servizi
all’infanzia e il lavoro extra familiare, se c’è, è a rischio a seguito della
gravidanza, con pressioni o dimissioni in bianco. Al di là di una serie
complessa di motivazioni socioculturali, anche questi sono elementi
fondamentali quando si cerca di spiegare il calo della natalità in Italia
(-15mila nascite tra il 2008 e il 2010). Il rapporto donnelavoro resta uno
scoglio: nel 2010 solo il 50,6% delle donne senza figli era occupata (contro la
media europea del 62,1%). Dato che scende al 45,5% con l’arrivo del primo
figlio, al 35,9% con il secondo e a 31,3% nel caso di 3 o più figli. Tra il
2008 e il 2009 sono state 800 mila le mamme licenziate o spinte alle
dimissioni. L’8,7% del totale delle interruzioni di lavoro nel 2009 è avvenuta
per costrizione (era il 2% nel 2003). Sono queste condizioni precarie alla base
della maggiore incidenza della povertà sui bambini e sugli adolescenti
registrata in Italia. Il confronto internazionale dimostra, infatti, che lo
spread relativo al rischio di povertà tra minori e adulti è pari all’8,2% (il
22,6% dei minori a rischio povertà contro il 14,4% degli over18). Fare figli
diventa davvero un’impresa quando l’autonomia stenta ad arrivare: il 35,6%
delle donne nel 2010 e il 36,4% nel 2011 erano inattive e appartenenti alla
fascia 25-34 anni. Dei 3 milioni e 855mila donne fra i 18 e i 29 anni, il 71,4%
vive con i genitori. Quanto al part time in aumento,
le ragioni sono dovute quasi esclusivamente all’incremento del 'tempo parziale
involontario', accettato cioè in assenza di occasioni di lavoro a tempo pieno
(nel 2010 il 45,9% sul totale dei part time, contro
la media Ue27 del 23,8%). Essere donna, lavoratrice e straniera rende poi tutto
più difficile: il primo figlio comporta un aumento dell’indice di deprivazione
materiale dal 32,1% al 37% contro il 13,3% e il 14,9% delle madri italiane. «La
crisi non può e non deve essere un alibi per non affrontare subito le difficoltà
specifiche e i divari di genere che ricadono sulle mamme e inevitabilmente
sulla condizione dei loro figli», sottolinea Raffaela Milano, direttore
Programmi Italia-Europa di Save
the Children. «E non si può chiedere ad una donna –
prosegue – di scegliere tra lavoro e maternità». Se esistesse in Italia una
rete di servizi all’infanzia la conciliazione famiglia-lavoro non sarebbe
un’utopia per molte donne. Invece il paese continua a investire poco per la
protezione sociale e le famiglie: solo l’1,4% del Pil nel 2009, contro la media
Ue del 2,3%. In assenza di servizi, il contributo dei padri alla gestione dei
figli è molto limitato: il lavoro familiare impegna le giovani donne 5 ore e 47
minuti al giorno, contro 1 ora e 53 minuti dei loro coetanei maschi. Il congedo
parentale, inoltre, è stato utilizzato nel 2010 solo per il 6,9% da padri.
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