venerdì 21 settembre 2012

riflessioni politiche e non partitiche!

Oggi più che mai sono convinta che i peones come me che lavorano sul territorio e che si pagano tutto, anche la campagna elettorale, sono stufi delle palate di cioccolata che arrivano dai centri del potere romano o comunque più alti del livello comunale .
Qui si lavora, ci si sbatte per migliorare il territorio, per dare una buona qualità di vita ai cittadini e ci si scontra molte volte già con le ideologie che a volte sono devastanti e impediscono l'azione per il bene comune .
Per favore chi è disonesto venga mandato a casa ! Lasciateci lavorare per migliorare questo nostro paese, che non mi pare passi un ottimo periodo .

Il cardinale Christoph Schoenborn Il cardinale Christoph Schoenborn Presentato il piano di riordino che tiene conto della crisi delle vocazioni: “Va superata l’idea che la chiesa esista solo con il sacerdote”

È una riforma che assomiglia a una piccola rivoluzione quella lanciata a Vienna dal  cardinale Christoph Schoenborn. Un piano di riordino e riduzione delle parrocchie che tiene conto della crisi delle vocazioni e quindi della  diminuzione del clero diocesano, e che però allo stesso tempo  valorizza il protagonismo dei laici nella Chiesa come del resto è  tradizione del cattolicesimo austriaco degli ultimi decenni. Così si  va verso comunità più piccole guidate da laici, inoltre  raggruppamenti di queste comunità verranno considerate parrocchie e  saranno gestite congiuntamente da sacerdoti e laici, la  responsabilità ultima sarà comunque del prete. Questo uno degli  aspetti più significativi del piano di riforma presentato oggi  dall’arcivescovo di Vienna.

     

«Dobbiamo liberarci - ha detto il cardinale - dell’immagine  tradizionale secondo la quale la Chiesa c’è solo quando è presente  un sacerdote». E anzi va riaffermato «il sacerdozio comune di tutti  i battezzati». Si tratta di dare vita, ha aggiunto il cardinale, a  una «nuova collaborazione di sacerdoti e laici sulla base della loro  comune vocazione cristiana».

     

Nel merito, il piano prevede che nei prossimi dieci anni, le 660 parrocchie attualmente esistenti siano ridotte e accorpate come  entità più grandi ma composte da singole ’filialì per meglio  svolgere i compiti pastorali e missionari.



«Più comunità locali dirette dai laici - ha  spiegato ancora il cardinale - formano nel loro insieme una nuova parrocchia che sarà diretta congiuntamente da sacerdoti e laici con  la responsabilità finale di un parroco». Il cardinal Schoenborn ha  ribadito espressamente che la riforma non abolisce le parrocchie:  «nelle nuove parrocchie si potranno sviluppare comunità più  numerose e più vive», poichè «la Chiesa deve ridiventare  missionaria ed essere vicina alle persone nei luoghi in cui esse vivono».

     

Il cardinale ha quindi rilevato che la riforma comporta un  «profondo cambio di prospettiva», poichè «dobbiamo staccarci  dall’idea che la Chiesa esista solo là dove c’è un sacerdote», ma  «così si ridà importanza al principio del sacerdozio comune» di  «tutti i battezzati e cresimati», realizzando «una coesistenza di  sacerdoti e laici sulla base della loro vocazione comune di cristiani».

mercoledì 19 settembre 2012

Mamme, in due anni 800mila “licenziate” di Bice Benvenuti

Mamme e lavoro fuori casa. Con una battuta potremmo dire: come conciliare ciò che apparentemente è inconciliabile. Lo dimostrano i dati del rapporto «Mamme nella Crisi» di Save the Children, presentato ieri a Roma alla presenza del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Elsa Fornero e della vicepresidente del Senato Emma Bonino. In Italia mancano i servizi all’infanzia e il lavoro extra familiare, se c’è, è a rischio a seguito della gravidanza, con pressioni o dimissioni in bianco. Al di là di una serie complessa di motivazioni socio­culturali, anche questi sono elementi fondamentali quando si cerca di spiegare il calo della natalità in Italia (-15mila nascite tra il 2008 e il 2010). Il rapporto donne­lavoro resta uno scoglio: nel 2010 solo il 50,6% delle donne senza figli era occupata (contro la media europea del 62,1%). Dato che scende al 45,5% con l’arrivo del primo figlio, al 35,9% con il secondo e a 31,3% nel caso di 3 o più figli. Tra il 2008 e il 2009 sono state 800 mila le mamme licenziate o spinte alle dimissioni. L’8,7% del totale delle interruzioni di lavoro nel 2009 è avvenuta per costrizione (era il 2% nel 2003). Sono queste condizioni precarie alla base della maggiore incidenza della povertà sui bambini e sugli adolescenti registrata in Italia. Il confronto internazionale dimostra, infatti, che lo spread relativo al rischio di povertà tra minori e adulti è pari all’8,2% (il 22,6% dei minori a rischio povertà contro il 14,4% degli over18). Fare figli diventa davvero un’impresa quando l’autonomia stenta ad arrivare: il 35,6% delle donne nel 2010 e il 36,4% nel 2011 erano inattive e appartenenti alla fascia 25-34 anni. Dei 3 milioni e 855mila donne fra i 18 e i 29 anni, il 71,4% vive con i genitori. Quanto al part time in aumento, le ragioni sono dovute quasi esclusivamente all’incremento del 'tempo parziale involontario', accettato cioè in assenza di occasioni di lavoro a tempo pieno (nel 2010 il 45,9% sul totale dei part time, contro la media Ue27 del 23,8%). Essere donna, lavoratrice e straniera rende poi tutto più difficile: il primo figlio comporta un aumento dell’indice di deprivazione materiale dal 32,1% al 37% contro il 13,3% e il 14,9% delle madri italiane. «La crisi non può e non deve essere un alibi per non affrontare subito le difficoltà specifiche e i divari di genere che ricadono sulle mamme e inevitabilmente sulla condizione dei loro figli», sottolinea Raffaela Milano, direttore Programmi Italia-Europa di Save the Children. «E non si può chiedere ad una donna – prosegue – di scegliere tra lavoro e maternità». Se esistesse in Italia una rete di servizi all’infanzia la conciliazione famiglia-lavoro non sarebbe un’utopia per molte donne. Invece il paese continua a investire poco per la protezione sociale e le famiglie: solo l’1,4% del Pil nel 2009, contro la media Ue del 2,3%. In assenza di servizi, il contributo dei padri alla gestione dei figli è molto limitato: il lavoro familiare impegna le giovani donne 5 ore e 47 minuti al giorno, contro 1 ora e 53 minuti dei loro coetanei maschi. Il congedo parentale, inoltre, è stato utilizzato nel 2010 solo per il 6,9% da padri.

lunedì 10 settembre 2012

Scola alle coppie divorziate: “Dio è vicino anche a voi”

Milano - A tre mesi di distanza da Benedetto XVI, e anzi usando praticamente le stesse parole pronunciate in giugno dal Papa a Milano, il cardinale Angelo Scola ribadisce che «Dio è vicino» anche «a chi ha il cuore ferito» per una separazione o un divorzio. Rilancia l'invito ai cristiani per la pratica di una vita che sia «più testimonianza che militanza». E dopo un'analisi storica che dall'Italia del dopoguerra approda alla «società plurale» dell'attualità si chiede: «La Chiesa, ferita dal peccato di taluni suoi membri, è ancora credibile agli occhi dell'uomo postmoderno?». La risposta è sì, dice il cardinale, a patto di non cercarla in «discutibili maestri del nostro tempo» ma nella Fede in Cristo: resistendo alle molte «tentazioni» - e Scola ne fa un lungo elenco - da cui essa viene spesso «messa alla prova». Questo e molto altro scrive l'arcivescovo di Milano nella Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino (Centro Ambrosiano, pp. 64, 2 euro) rivolta «a tutti, battezzati e non credenti», presentata ieri in Duomo e dedicata ai temi-guida indicati dal Papa per il 2012-2013 «Anno della Fede». Una sfida ardua, riconosce lo stesso Scola, se solo si considerano i cambiamenti degli ultimi sessant'anni: dalla «religiosità diffusa» ma anche «convenzionale» del dopoguerra sino al massiccio «abbandono della pratica cristiana» col '68, dalle «profonde ferite del terrorismo» alla «gaia rassegnazione della Milano da bere» sfociata infine nel «travaglio» di oggi con tutti i suoi aspetti «più inediti che epocali», dalle «biotecnologie» al «meticciato delle civiltà». La domanda che ne segue è impegnativa per forza: «In un simile contesto è ancora possibile proporre che al di fuori di Cristo non c'è salvezza?». Scola risponde ai cristiani che la via per farlo c'è ma richiede appunto, in contraddizione almeno apparente con la fama di ciellino da cui in questi mesi ha cercato peraltro ripetutamente di smarcarsi, «testimonianza più che militanza»: con i «linguaggi della gratitudine piuttosto che quelli del dovere», con tanto «silenzio» più che «moltiplicazione di parole», praticando la «comunicazione di un'esperienza» più che «l'affannosa ricerca del consenso». Anche se poi, 40 pagine dopo, ammonisce proprio contro la «tentazione di restare muti di fronte alle grandi questioni del nostro tempo come sessualità, matrimonio, famiglia, vita, politica e giustizia» avvertendo i cristiani che «proporre la loro esperienza» rappresenta comunque un «dovere» al quale quanti sono veramente «illuminati da una fede adulta non si sottraggono». E parole di comprensione non disgiunte da altre di avvertimento sono anche quelle rivolte ai «separati e divorziati» (termini che egli non usa mai, rinviandoli tuttavia alla esplicita citazione di Benedetto XVI) con la ribadita «attenzione» della Chiesa alle «molte famiglie segnate da difficoltà, incomprensioni e divisioni, legami abbandonati e costruiti con altri, con tutti i dolorosi contraccolpi provocati soprattutto sui più piccoli». Con una puntualizzazione: «Dio invita tutti a sentirsi a casa nella Chiesa al di là ogni pretesa», scrive Scola. E comunque una messa in guardia: contro ogni «modello di convivenza esile, sospeso all'emozione passionale e all'afasia che non sa esprimere la bellezza di un amore casto, di un fidanzamento serio, di un matrimonio cristiano».

Le parole del cardinale Angelo Scola, che ricorda Dio vicino anche alle coppie divorziate, riprendono una serie di aperture ambrosiane cominciate con Carlo Maria Martini, proseguite con Dionigi Tettamanzi e confermate dal Papa nella sua visita lo scorso giugno a Milano. Forse, più che di aperture, la Chiesa sente ora il bisogno di dialogo con i divorziati; discorsi nuovi, da scambiarsi. Se si volesse ricorrere a un'espressione di Martini (lettera sul «Corriere» del 27 novembre 2011) nessuno deve sentirsi «separato anche dall'amore di Dio». Del resto, molti divorziati soffrono per la mancanza di comprensione o per le esclusioni. È giunto il momento di aggiornare l'anagrafe morale: le condanne, utilizzando la regola dell'amore, a volte si trasformano in abbracci.

mercoledì 5 settembre 2012

Le risorse della città metropolitana? Nessuno ne parla perchè ?


Perequazione ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 42 del 2009 e
sistema finanziario delle citta' metropolitane nelle regioni a
statuto ordinario



Art. 23


Fondo perequativo per le province e per le citta' metropolitane

1. Il Fondo perequativo di cui all'articolo 13 del citato decreto
legislativo n. 23 del 2011 e' alimentato, per le province e per le
citta' metropolitane, dalla quota del gettito della compartecipazione
provinciale all'IRPEF di cui all'articolo 18 del presente decreto non
devoluto alle province e alle citta' metropolitane competenti per
territorio. Tale fondo e' articolato in due componenti, la prima
delle quali riguarda le funzioni fondamentali delle province e delle
citta' metropolitane, la seconda le funzioni non fondamentali. Le
predette quote sono divise in corrispondenza della determinazione dei
fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e riviste in
funzione della loro dinamica. Per quanto attiene alle funzioni non
fondamentali, la perequazione delle capacita' fiscali non deve
alterare la graduatoria dei territori in termini di capacita' fiscale
per abitante.
2. Ai sensi dell'articolo 13 della citata legge n. 42 del 2009,
sono istituiti nel bilancio delle regioni a statuto ordinario due
fondi, uno a favore dei comuni, l'altro a favore delle province e
delle citta' metropolitane, alimentati dal fondo perequativo dello
Stato di cui al presente articolo.

Note all'art. 23:
- Si riporta il testo vigente dell'art. 13 del citato
decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23:
«Art. 13 (Fondo perequativo per comuni e province). -
1. Per il finanziamento delle spese dei comuni e delle
province, successivo alla determinazione dei fabbisogni
standard collegati alle spese per le funzioni fondamentali,
e' istituito nel bilancio dello Stato un fondo perequativo,
con indicazione separata degli stanziamenti per i comuni e
degli stanziamenti per le province, a titolo di concorso
per il finanziamento delle funzioni da loro svolte. Previa
intesa sancita in sede di Conferenza Stato-citta' ed
autonomie locali, con decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri, su proposta del Ministro per i rapporti con
le regioni e per la coesione territoriale e del Ministro
dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e
delle finanze, sono stabilite, salvaguardando la
neutralita' finanziaria per il bilancio dello Stato e in
conformita' con l'art. 13 della legge 5 maggio 2009, n. 42,
le modalita' di alimentazione e di riparto del fondo. Il
fondo perequativo a favore dei comuni e' alimentato da
quote del gettito dei tributi di cui all'art. 2, commi 1 e
2, e dalla compartecipazione prevista dall'art. 7, comma 2.
Tale fondo e' articolato in due componenti, la prima delle
quali riguarda le funzioni fondamentali dei comuni, la
seconda le funzioni non fondamentali. Le predette quote
sono divise in corrispondenza della determinazione dei
fabbisogni standard relativi alle funzioni fondamentali e
riviste in funzione della loro dinamica.».
- Per il testo vigente dell'art. 13, della citata legge
5 maggio 2009, n. 42, si vedano le note all'art. 21.



Capo III

Perequazione ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 42 del 2009 e
sistema finanziario delle citta' metropolitane nelle regioni a
statuto ordinario



Art. 24


Sistema finanziario delle citta' metropolitane

1. In attuazione dell'articolo 15 della citata legge n. 42 del
2009, alle citta' metropolitane sono attribuiti, a partire dalla data
di insediamento dei rispettivi organi, il sistema finanziario e il
patrimonio delle province soppresse a norma dell'articolo 23, comma
8, della medesima legge.
2. Sono attribuite alle citta' metropolitane, con apposito decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottare su proposta del
Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza
unificata, le seguenti fonti di entrata:
a) una compartecipazione al gettito dell'IRPEF prodotto sul
territorio della citta' metropolitana;
b) una compartecipazione alla tassa automobilistica regionale,
stabilita dalla regione secondo quanto previsto dall'articolo 19,
comma 2;
c) l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilita' civile
derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i
ciclomotori, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17;
d) l'IPT, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17;
e) i tributi di cui all'articolo 20.
3. Le fonti di entrata di cui al comma 2 finanziano:
a) le funzioni fondamentali della citta' metropolitana gia'
attribuite alla provincia;
b) la pianificazione territoriale generale e delle reti
infrastrutturali;
c) la strutturazione di sistemi di coordinati di gestione dei
servizi pubblici;
d) la promozione ed il coordinamento dello sviluppo economico e
sociale;
e) le altre funzioni delle citta' metropolitane.
4. Con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui
al comma 2, e' altresi' attribuita alle citta' metropolitane la
facolta' di istituire un'addizionale sui diritti di imbarco portuali
ed aeroportuali;
5. La regione puo' attribuire alla citta' metropolitana la facolta'
di istituire l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili solo
ove l'abbia soppressa ai sensi dell'articolo 8.
6. Con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 2,
della citata legge n. 400 del 1988, d'intesa con la Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali, entro un anno dall'entrata in
vigore del presente decreto, e' disciplinata l'imposta di scopo delle
citta' metropolitane, individuando i particolari scopi istituzionali
in relazione ai quali la predetta imposta puo' essere istituita e nel
rispetto di quanto previsto dall'articolo 6 del citato decreto
legislativo n. 23 del 2011.
7. Con la legge di stabilita', ovvero con disegno di legge ad essa
collegato, puo' essere adeguata l'autonomia di entrata delle citta'
metropolitane, in misura corrispondente alla complessita' delle
funzioni attribuite, nel rispetto degli obiettivi di finanza
pubblica.
8. In caso di trasferimento di funzioni da altri enti territoriali
in base alla normativa vigente e' conferita alle citta'
metropolitane, in attuazione dell'articolo 15 della citata legge n.
42 del 2009, una corrispondente maggiore autonomia di entrata con
conseguente definanziamento degli enti territoriali le cui funzioni
sono state trasferite.
9. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri con cui
sono attribuite a ciascuna citta' metropolitana le proprie fonti di
entrata assicura l'armonizzazione di tali fonti di entrata con il
sistema perequativo e con il fondo di riequilibrio.
10. Dal presente articolo non possono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.

Note all'art. 24:
- Si riporta il testo vigente dell'art. 15, della
citata legge 5 maggio 2009, n. 42:
«Art. 15 (Finanziamento delle citta' metropolitane). -
1. Con specifico decreto legislativo, adottato in base all'
art. 2 e in coerenza con i principi di cui agli articoli
11, 12 e 13, e' assicurato il finanziamento delle funzioni
delle citta' metropolitane mediante l'attribuzione ad esse
dell'autonomia impositiva corrispondente alle funzioni
esercitate dagli altri enti territoriali e il contestuale
definanziamento nei confronti degli enti locali le cui
funzioni sono trasferite, anche attraverso l'attribuzione
di specifici tributi, in modo da garantire loro una piu'
ampia autonomia di entrata e di spesa in misura
corrispondente alla complessita' delle medesime funzioni.
Il medesimo decreto legislativo assegna alle citta'
metropolitane tributi ed entrate propri, anche diversi da
quelli assegnati ai comuni, nonche' disciplina la facolta'
delle citta' metropolitane di applicare tributi in
relazione al finanziamento delle spese riconducibili
all'esercizio delle loro funzioni fondamentali, fermo
restando quanto previsto dall' art. 12, comma 1, lettera
d).».
- Il testo dell'art. 23, comma 8, della citata legge
n.42 del 2009, e' il seguente:
«8. La provincia di riferimento cessa di esistere e
sono soppressi tutti i relativi organi a decorrere dalla
data di insediamento degli organi della citta'
metropolitana, individuati dalla legge di cui al comma 1,
che provvede altresi' a disciplinare il trasferimento delle
funzioni e delle risorse umane, strumentali e finanziarie
inerenti alle funzioni trasferite e a dare attuazione alle
nuove perimetrazioni stabilite ai sensi del presente
articolo. Lo statuto definitivo della citta' metropolitana
e' adottato dai competenti organi entro sei mesi dalla data
del loro insediamento in base alla legge di cui al comma
1.».
- Per il testo vigente dell'art. 17, della citata legge
23 agosto 1988, n. 400 e dell'art. 6 del citato decreto
legislativo 14 marzo 2011, n. 23 si vedano le note all'art.
20.

Divorzi e welfare, ricetta veneta di Massimiliano Melilli

La crisi in atto - oltre all'effetto «livella» di Totò, tutti sullo stesso piano, in sofferenza - ha rivoluzionato persino canoni e categorie sociali che credevamo eterni. Una volta poveri erano considerati i disoccupati e i giovani in cerca del primo lavoro. Da oggi, per effetto di un provvedimento del sindaco di Belluno Jacopo Massaro, che evoca lungimiranti modelli di welfare dei Paesi scandinavi, nuovi poveri sono anche i divorziati e i precari. Che saranno equiparati ai lavoratori atipici: avranno diritto a sussidi economici e assistenziali. Dunque soldi, spesa, un tetto dove dormire. Ma soprattutto è lodevole la presenza (concreta) delle istituzioni laddove per anni, si è andati avanti solo grazie all'aiuto familiare oppure si è vissuto di espedienti. Anche in Veneto, in questi anni, tante, troppe le storie a perdere di divorziati, divorziate e precari: cittadini «invisibili» relegati nel dimenticatoio. Nella stessa direzione del meritorio provvedimento di Belluno, s'inserisce la legge regionale 29 del 10 agosto scorso. Obiettivo: aiutare i divorziati. Articolato l'ambito d'intervento: forme di microcredito a tasso zero, fondi per l'apertura di uno sportello per l'assistenza psicologica e soprattutto un elevato punteggio per le graduatorie delle case popolari. I fondi stanziati ammontano a 500 mila euro. Anche nel caso della Giunta Zaia siamo davanti ad un approccio moderno e solidale con un fenomeno che anche a Nordest assume ormai i crismi dell'emergenza. Parliamo di un mondo dove contenziosi legali, sentenze di Tribunali, liti fra ex coniugi e famiglie stesso sfociate nel sangue, rappresentano l'immagine perdente di un Paese che a parole si vanta di essere fra le prime sette superpotenze al mondo. Gli ultimi dati fotografano una realtà che anche in Veneto fa riflettere: 2.036.041 fra celibi e nubili, 2.440.121 coniugati e 97.437 divorziati. Quest'ultimo dato conferma la proporzione di un universo non più confinabile nell'alveo della vita privata. Considerato il protrarsi della congiuntura negativa e i segnali non certo incoraggianti per l'immediato futuro, i divorziati devono rientrare a pieno titolo nell'agenda di Governo, Regioni, Province, Comuni. C'è un altro aspetto confortante nel provvedimento del sindaco di Belluno a favore di divorziati e precari. E' un dato politico che la dice lunga sul Pd quotidianamente in guerra (o in pace) con Sel, Idv. Movimento 5 Stelle e Udc. Sono trascorsi cento giorni dall'insediamento della Giunta Massaro e il welfare di segno scandinavo messo ora in campo, era uno degli impegni annunciati in campagna elettorale. Impegno mantenuto. Di più. L'attuale squadra che guida la città è il frutto di una lista civica trasversale che ha appoggiato il sindaco ex Pd. Si tratta di «Patto per Belluno», che accoglie al suo interno anime del centrosinistra ma soprattutto del centrodestra. Rilevanti e decisivi risultano anche i ruoli di altre due civiche: quella del sindaco Massaro, «InMovimento» e «Insieme per Belluno-Città futura». Tale quadro dimostra che dalle ceneri del centrosinistra e del centrodestra, sul territorio possono nascere formule di governo vincenti che amministrano modernamente grazie a figure svincolate da rappresentazioni datate della politica.

Ruini: la Chiesa oggi non è indietro. Martini non era antagonista del Papa di Aldo Cazzullo

Cardinale Ruini, lei esordisce raccontando che gli editori le chiedevano un libro di memorie sugli anni in cui ha guidato la Chiesa italiana. Perché invece un libro su Dio?
«Perché mi sembra enormemente più utile, e anche più interessante. L'esistenza di Dio e il nostro rapporto con Lui sono stati l'ancoraggio della mia vita e il centro dei miei interessi intellettuali. Mi sento in dovere di offrire questo libro alla gente».
Lei sostiene di aver avuto fin da ragazzo la certezza dell'esistenza di Dio. Perché?
«Penso sia una certezza abbastanza naturale all'uomo, e in particolare al bambino. Ma è anche un dono che Dio ci fa in modo libero. Perché a qualcuno lo faccia in modo particolarmente intenso, questo lo sa solo Lui».
I suoi genitori non la volevano prete.
«È vero, in famiglia ci fu un'opposizione molto forte. Che mi rattristò, ma non mi fermò. Mio padre, che era medico, mi impose però una condizione: andare a Roma. Temeva che nel seminario di Reggio Emilia non mi avrebbero dato abbastanza da mangiare — erano ancora anni di povertà —. E che non mi sarei laureato».
Degli studi alla Gregoriana lei ricorda l'impostazione tomista e neoscolastica, oggi considerata superata. Questo cosa significa? Che i teologi hanno rinunciato a dimostrare razionalmente l'esistenza di Dio?
«Significa che la teologia ha iniziato un cammino nuovo: un dialogo, sia pure critico, con la cultura attuale. Anche se la grande scolastica da Tommaso a Bonaventura rimane molto importante. Questo cambiamento non implica la rinuncia all'argomentazione razionale a favore dell'esistenza di Dio. Sebbene la parola "dimostrazione" oggi piaccia meno, perché sembra indicare la necessità di credere in Dio. È invece una scelta razionalmente motivata ma libera».
Conciliare fede e ragione è una linea-guida del papato di Ratzinger, e affiora anche nel suo libro. Ma l'evoluzione delle scienze e delle biotecnologie non rende ancora più difficile il compito?
«Le scienze da una parte diventano sempre più consapevoli dei propri intrinseci limiti epistemologici. Dall'altra, pongono domande sempre più grandi e sempre più radicali, non solo riguardo all'uomo ma all'universo. Anziché chiudersi, le strade della fede, e direi anche della filosofia, si aprono sempre di più. Lo scientismo, che considera oggettivamente valido solo il pensiero scientifico, oggi è ormai obsoleto. E mette in imbarazzo i migliori uomini di scienza, che sono lontani dal vantare l'autosufficienza della ricerca scientifica».
Lei appare convinto che, pure nell'età della secolarizzazione, la fede e anche la proposta di vita della Chiesa non siano condannate a essere minoritarie. O no?
«Quantificare in queste materie è difficile. Vivere da cristiani fino in fondo o comunque seriamente è di pochi; e secondo me lo è sempre stato. Credere in Dio può essere di molti. In America siamo oltre l'80%, in Italia le percentuali sono poco più basse; anche se decrescono nella cultura alta, e nei media».
Da capo dei vescovi lei valutò che il cristianesimo non dovesse rinchiudersi in un fortilizio assediato, ma giocare a tutto campo. È così?
«Sì, però l'idea non è mia. È di Giovanni Paolo II. Già nell'84, quando lo conobbi, diceva che l'onda di piena della secolarizzazione era alle nostre spalle. Allora pareva un giudizio avventato; oggi è condiviso dai sociologi della religione. Certo la corrente secolarizzatrice continua a essere forte. Su questo non dobbiamo illuderci».
Dio come lo pensa lei è comune alle varie religioni? Come possiamo essere certi di essere noi cristiani nel giusto? Come possiamo essere sicuri che Gesù sia davvero «la più alta e definitiva manifestazione di Dio nella storia»?
«Dio è certamente uno solo. Le varie religioni però hanno di Lui idee molto diverse. Gesù stesso ha rivendicato di avere un rapporto unico con Dio, che si esprime nella parola "figlio". E Dio ha confermato questa pretesa inaudita di Gesù, resuscitandolo dai morti. La pretesa non viene da noi, viene dal Cristo».
Secondo lei c'è differenza tra la fede di Wojtyla e quella di Ratzinger? Noi tendiamo a pensare che la prima fosse più sentimentale e la seconda più razionale.
«Le differenze ci sono, non ovviamente nei contenuti ma nel modo, nello stile, anche secondo l'indole di ciascuno e il dono che Dio fa a ciascuno. Ma i due Papi sono più simili di quel che sembrerebbe. Entrambi uomini di intelligenza straordinaria: Benedetto XVI come tutti sanno, e Giovanni Paolo II, che era di un'intelligenza fulminante e anche teoretica. Entrambi uomini di fede rocciosa e direi semplice: si può essere un grande teologo, come papa Ratzinger, e avere la fede delle persone semplici, o dei bambini».
È passato mezzo secolo dall'apertura del Vaticano II. Aperture lungimiranti, interpretate in modo talora sbagliato: sembra essere questa la sintesi che prevale oggi nelle gerarchie. Lei vi si riconosce? O no?
«Il Vaticano II è stato, come ha detto Giovanni Paolo II, la massima grazia ricevuta dalla Chiesa nel XX secolo. Proprio per questo è stato una sfida enorme, a volte mal compresa. Da ciò sono nati danni molto grandi. Attorno a questa valutazione di fondo cresce il consenso».
Quali danni?
«La crisi del clero, della vita consacrata. Molti hanno smesso la pratica religiosa. La crisi della forma cattolica della Chiesa. Il Concilio si dedicò molto al rapporto tra i vescovi e il Papa, dando per acquisita la "tranquilla adesione" all'intero corpo dottrinale della Chiesa, come la definì Giovanni XXIII. Invece il magistero della Chiesa è stato messo in discussione e spesso disatteso anche all'interno della Chiesa stessa».
Come ricorda il cardinale Martini e come interpreta la sua figura? È stato il «capo dell'opposizione» all'interno della Chiesa wojtyliana e, per l'Italia, ruiniana?
«Non si tratta di Ruini: l'interlocutore di Martini era il Papa. È stato spesso presentato come l'antagonista. Ma non ha mai voluto essere così. Sarebbe anche un immiserirlo. È stata una grande personalità, un leader mondiale, con molti registri: spirituale, biblico, dialogico, pratico; Martini era anche uomo che sapeva governare in concreto. Innamorato di Cristo, del Vangelo e della Chiesa, oltre che dell'umanità».
Cosa risponderebbe a Martini che nell'ultima intervista dice: «La Chiesa è indietro di 200 anni»?
«Non ho mai polemizzato con lui da vivo, tanto meno lo farei adesso. A mio parere, occorre distinguere due forme di distanza della Chiesa dal nostro tempo. Una è un vero ritardo, dovuto a limiti e peccati degli uomini di Chiesa, in particolare all'incapacità di vedere le opportunità che si aprono oggi per il Vangelo. L'altra distanza è molto diversa. È la distanza di Gesù Cristo e del suo Vangelo, e per conseguenza della Chiesa, rispetto a qualsiasi tempo, compreso il nostro ma anche quello in cui visse Gesù. Questa distanza ci deve essere, e ci chiama alla conversione non solo delle persone ma della cultura e della storia. In questo senso anche oggi la Chiesa non è più indietro, ma è più avanti, perché in quella conversione c'è la chiave di un futuro buono».
Il silenzio di Dio di fronte al male è usato come pretesto per negarlo. Dio può permettere anche attacchi alla Chiesa? Come valuta la questione dei documenti del Papa trafugati?
«Non solo Dio può permettere questi attacchi, ma li ha sempre permessi: fanno parte della logica profonda del cristianesimo. Gesù lo disse chiaramente: "Come hanno perseguitato me, così perseguiteranno voi". Quanto ai documenti, è una vicenda triste, di cui si è già parlato fin troppo».
L'Italia è alla vigilia di elezioni delicatissime. La Chiesa oggi ha un interlocutore privilegiato? I valori cattolici sono rappresentati nell'attuale governo? Serve all'Italia un nuovo centro che ai valori cattolici faccia riferimento? Lei vede nuovi possibili leader?
«Interlocutori della Chiesa sono tutti i credenti, e tutti gli italiani interessati ad ascoltarla. Privilegiato può dirsi chi ascolta di più. Fin dal convegno di Palermo del 1995, la Chiesa italiana preferisce non entrare nelle questioni degli schieramenti politici. E invita non solo i cattolici, ma tutti gli italiani disponibili, a impegnarsi politicamente per valori e contenuti che sono sostenuti dalla Chiesa, ma non sono contenuti confessionali, bensì di interesse generale. Quanto alle leadership, si prendono e si esercitano, non le può conferire nessuno; tantomeno la Chiesa».

lunedì 3 settembre 2012

L’Europa pronta al varo delle quote rosa per i vertici delle società

L’Europa pronta al varo delle quote rosa per i vertici delle società

un uomo illuminato

Chiesa indietro di 200 anni »

L'ultima intervista: «Perché non si scuote, perché abbiamo paura?»

Padre Georg Sporschill, il confratello gesuita che lo intervistò in Conversazioni notturne a Gerusalemme , e Federica Radice hanno incontrato Martini l'8 agosto: «Una sorta di testamento spirituale. Il cardinale Martini ha letto e approvato il testo».
Come vede lei la situazione della Chiesa?
«La Chiesa è stanca, nell'Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l'apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? (...) Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Lo so che non possiamo lasciare tutto con facilità. Quanto meno però potremmo cercare uomini che siano liberi e più vicini al prossimo. Come lo sono stati il vescovo Romero e i martiri gesuiti di El Salvador. Dove sono da noi gli eroi a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli dell'istituzione».
Chi può aiutare la Chiesa oggi?
«Padre Karl Rahner usava volentieri l'immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vede nella Chiesa di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi assale un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dell'amore? Per prima cosa dobbiamo ricercare questa brace. Dove sono le singole persone piene di generosità come il buon samaritano? Che hanno fede come il centurione romano? Che sono entusiaste come Giovanni Battista? Che osano il nuovo come Paolo? Che sono fedeli come Maria di Magdala? Io consiglio al Papa e ai vescovi di cercare dodici persone fuori dalle righe per i posti direzionali. Uomini che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque».
Che strumenti consiglia contro la stanchezza della Chiesa?
«Ne consiglio tre molto forti. Il primo è la conversione: la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi. Gli scandali della pedofilia ci spingono a intraprendere un cammino di conversione. Le domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno e a volte forse sono anche troppo importanti. Dobbiamo chiederci se la gente ascolta ancora i consigli della Chiesa in materia sessuale. La Chiesa è ancora in questo campo un'autorità di riferimento o solo una caricatura nei media? Il secondo la Parola di Dio. Il Concilio Vaticano II ha restituito la Bibbia ai cattolici. (...) Solo chi percepisce nel suo cuore questa Parola può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento della Chiesa e sapranno rispondere alle domande personali con una giusta scelta. La Parola di Dio è semplice e cerca come compagno un cuore che ascolti (...). Né il clero né il Diritto ecclesiale possono sostituirsi all'interiorità dell'uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti. Per chi sono i sacramenti? Questi sono il terzo strumento di guarigione. I sacramenti non sono uno strumento per la disciplina, ma un aiuto per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze della vita. Portiamo i sacramenti agli uomini che necessitano una nuova forza? Io penso a tutti i divorziati e alle coppie risposate, alle famiglie allargate. Questi hanno bisogno di una protezione speciale. La Chiesa sostiene l'indissolubilità del matrimonio. È una grazia quando un matrimonio e una famiglia riescono (...). L'atteggiamento che teniamo verso le famiglie allargate determinerà l'avvicinamento alla Chiesa della generazione dei figli. Una donna è stata abbandonata dal marito e trova un nuovo compagno che si occupa di lei e dei suoi tre figli. Il secondo amore riesce. Se questa famiglia viene discriminata, viene tagliata fuori non solo la madre ma anche i suoi figli. Se i genitori si sentono esterni alla Chiesa o non ne sentono il sostegno, la Chiesa perderà la generazione futura. Prima della Comunione noi preghiamo: "Signore non sono degno..." Noi sappiamo di non essere degni (...). L'amore è grazia. L'amore è un dono. La domanda se i divorziati possano fare la Comunione dovrebbe essere capovolta. Come può la Chiesa arrivare in aiuto con la forza dei sacramenti a chi ha situazioni familiari complesse?»
Lei cosa fa personalmente?
«La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. Io sono vecchio e malato e dipendo dall'aiuto degli altri. Le persone buone intorno a me mi fanno sentire l'amore. Questo amore è più forte del sentimento di sfiducia che ogni tanto percepisco nei confronti della Chiesa in Europa. Solo l'amore vince la stanchezza. Dio è Amore. Io ho ancora una domanda per te: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?».