Messa solenne per la Festa di S. Michele Arcangelo
patrono di Mestre (Duomo S. Lorenzo, 29 settembre 2012)
Omelia del Patriarca Mons. Francesco Moraglia
- Persona e buona vita della polis -
Gentili autorità, carissimi confratelli e tutti voi qui presenti,
desidero
augurarvi sin d’ora una buona festa di S. Michele, patrono di questa
città. E, all’inizio di questa celebrazione, permettetemi anche di
salutare e ringraziare in modo particolare la Polizia di Stato - che
festeggia il suo patrono - per il prezioso e importante servizio che,
quotidianamente, svolge nelle nostre città e lungo le nostre strade.
La
festa dell’arcangelo Michele, patrono di Mestre, conduce a riflettere
sul bene che vince il male. Il nome Michele, infatti, significa: “Chi
come Dio?”. Un richiamo, una testimonianza, un grido. Michele è guida
intrepida degli angeli, una sorta di custode dei custodi, e la
rivelazione cristiana avverte che gli angeli, sotto la guida di Michele,
sono al servizio di Dio affinché la storia della salvezza si compia.
Il
bene, però, non riguarda soltanto le singole persone. No, il bene
innerva di sé le relazioni umane, il vivere comune. La società è, sempre
più, chiamata ad essere il luogo del buon vivere. E pure qui non si dà
neutralità: o le nostre città sono luoghi accoglienti e ospitali oppure
diventano luoghi di competizione e antagonismo, poi di emarginazione e
violenza.
La
nostra società è - ed è destinata ad essere sempre più - espressione
della cultura della tecno-scienza; ne consegue che o sarà realmente a
servizio dell’uomo o, sempre più, diventerà spazio disumano, perché
tutto ciò che consente lo spiegamento di energie nuove - se tali energie
non sono “umanizzate”, ossia poste a servizio dell’uomo - è destinato
ad espropriarlo proprio di ciò che lo rende uomo.
Il
potere, in sé, non è né un bene né un male: è l’uso che se ne fa che lo
qualifica in senso positivo o negativo. La buona vita personale e
sociale, - della polis - è
inserire un riflesso del bene, del vero, del bello - che appartengono
per antonomasia a Dio - nella quotidianità dell’uomo che, come ricorda
san Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi, è “spirito, anima e corpo” (cfr. 1Ts 5,23).
La cultura della tecno-scienza si trova dinanzi un io umano sempre più destrutturato; in tale contesto, il progetto di una “polis virtuosa”
che si proponga come fine il bene comune, ovvero il bene di tutti e di
ciascuno, deve collocare, al centro di tutto, la persona umana.
Il
bene comune, ovviamente, riguarda tutto l’uomo e non solo lo sviluppo
di una o di alcune sue dimensioni antropologiche perché l’uomo, appunto,
è costituito di spirito, anima e corpo.
Nell’epoca
post-moderna siamo chiamati a guardare, con rinnovata attenzione, al
bene comune per cui è necessario, innanzitutto, riconoscere la persona.
Senza l’impegno per il bene comune non si può neppure iniziare a parlare
della città. Il bene comune richiede, infatti, riconoscere la dignità
della persona, iniziando dal bene per eccellenza, il diritto alla vita:
tutelare la vita appena concepita - momento di massima fragilità - è
assunzione di responsabilità verso se stesso e gli altri, verso la
comune convivenza.
Il beato Giovanni XXIII, nella Pacem in terris, così s’esprime: “…l’attuazione
del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei
doveri della persona. Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici
consistono soprattutto nel riconoscere, rispettare, comporre, tutelare e
promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere
più facile, l’adempimento dei rispettivi doveri. Tutelare l’intangibile
campo dei diritti della persona umana e renderle agevole il compito dei
suoi doveri vuol essere ufficio essenziale di ogni pubblico potere ” (Pacem in terris, n. 36).
Ne
consegue che l’esercizio della democrazia non può ridursi all’aspetto
formale, la conta dei voti: una maggioranza opposta a una minoranza,
sulla base del puro conteggio numerico dei voti, non vuol dire ancora
una reale e vera democrazia. Una reale democrazia si sostanzia di valori
che la nutrono dandole un’anima; il formarsi di una maggioranza, frutto
di puro consenso numerico, non dice ancora nulla sulla qualità della
democrazia come sulla bontà di una legge. Soprattutto, non è ancora
sufficiente per dire se siamo dinanzi ad una democrazia reale, fondata
sul rispetto dei diritti della persona e sull’assunzione dei
corrispondenti doveri.
In
proposito è doveroso, qui, richiamare le condizioni per cui l’atto
compiuto dai pubblici poteri riveste valore giuridico. Ancora la Pacem in terris afferma: “…ogni
atto dei poteri pubblici, che sia o implichi un misconoscimento o una
violazione di quei diritti, è un atto contrastante con la loro stessa
ragione di essere e rimane per ciò stesso destituito di ogni valore
giuridico” (Pacem in terris, n. 36).
Il
credente, e con lui ogni uomo di buona volontà, sa che, innanzi alle
esigenze etiche fondamentali, non sono in gioco valori confessionali o
scelte partitiche, ma l’essenza della moralità umana. Moralità umana che
riguarda, proprio, il bene integrale della persona e, di conseguenza,
il bene comune che, a sua volta, non può - non deve - prescindere dalla
persona. Vi sono principi a servizio della persona che sono presupposti a
una buona politica e a una democrazia che sia reale perché fondata su
contenuti o, meglio, su valori.
Pensiamo, appunto, al diritto primario alla vita che va rispettata sempre, in ogni frangente - dal concepimento al suo
spegnersi naturale -, e la specificità e unicità della famiglia fondata
sul matrimonio per ciò che di peculiare (i figli) è, sola, in grado di
porre a servizio della società civile e del bene comune.
Consideriamo,
ancora, la libertà religiosa e d’educazione, come la libertà dalle
moderne forme di schiavitù; non si può, poi, tacere il diritto alla pace
- nelle nostre città, nei nostri quartieri e a livello internazionale
-, ripudiando la guerra come modo per risolvere i conflitti, e il
diritto a un’economia e, prima ancora, a una finanza che sia a servizio
della persona.
Il
fondamento di questi diritti e di ogni altro è, appunto, la comune
dignità della persona. Tali diritti inalienabili della persona fanno
parte della missione affidata da Cristo alla sua Chiesa e costituiscono
altrettanti capisaldi della dottrina sociale della Chiesa. Giovanni
XXIII, nella Mater et magistra, ricorda che “la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita” (Mater et magistra, n. 206).
Oggi
la situazione mondiale si caratterizza, rispetto agli anni Sessanta del
secolo scorso, per la globalizzazione; per questo, ancor più di prima,
si esige, a livello mondiale, un rinnovato impegno per tutelare i
diritti della persona. Ci troviamo, in tal modo, dinanzi alla non facile
questione di riconoscere un’autorità a servizio e tutela dei diritti
umani, in grado d’opporsi alle crescenti forme d’arbitrio,
discriminazione, ingiustizia.
Si apre, come ha rimarcato Benedetto XVI - a conclusione della Caritas in veritate -, una
questione delicatissima che riguarda la persona che, appunto, nella
società tecno-scientifica, rischia d’esser privata della sua dignità e
trovarsi in balia di una razionalità “chiusa” nel fare, incapace di
cogliere il senso e il valore delle cose.
Così,
fra i possibili tipi di razionalità, siamo posti innanzi ad una
alternativa: o la razionalità “chiusa” nell’immanenza o la razionalità
“aperta” alla trascendenza. La prima contrasta e rende impossibile
pensare come dal nulla si possa passare all’essere e dal caso al senso. E
qui dovrebbero riflettere tutti, credenti e non credenti.
Benedetto
XVI sottolinea continuamente il contesto nuovo in cui oggi si pone la
questione dell’uomo (antropologia) nel delicato segmento di modernità
che stiamo vivendo. Così il Santo Padre riprende il cammino iniziato da
Paolo VI quando, nell’enciclica Populorum progressio, indica alla Chiesa la prospettiva mondiale come luogo in cui sempre più si sarebbe declinata la questione sociale.
Qui
sottolineiamo il nesso tra antropologia e questione sociale, un nesso
inscindibile, soprattutto oggi. In tale contesto culturale comprendiamo
quanto sia urgente riscoprire il compito e il ruolo di una coscienza
capace di analisi critica. Benedetto XVI così s’esprime: “…oggi
… la questione sociale è diventata radicalmente questione
antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di
concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle
biotecnologie nelle mani dell’uomo… qui l’assolutismo della tecnica
trova la sua massima espressione. In tale tipo di cultura la coscienza è
solo chiamata a prendere atto di una mera possibilità tecnica. Non si
possono, tuttavia, minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro
dell’uomo… Dietro a questi scenari stanno posizioni culturali negatrici
della dignità umana…” (Caritas in veritate, n.75).
Siamo
oggi posti dinanzi a una alternativa di non poco conto: o l’uomo
riuscirà ad affermare la sua dignità personale o sempre più dovrà fare i
conti con lo strapotere della tecno-scienza che, progressivamente, lo
esproprierà del suo essere “umano”. Educare alla buona vita del vangelo
vuol dire accogliere la sfida della cultura del nostro tempo, affinché
le relazioni umane siano sempre caratterizzate dal rispetto della
dignità della persona.
Tali
considerazioni interpellano certamente, e ogni giorno, anche la realtà
di Mestre e di quest’area metropolitana significativa e centrale per
l’intero Nordest dell’Italia. Non sarà, perciò, indifferente o
irrilevante vedere come in questo territorio - in continua
trasformazione, alla ricerca di un’identità più forte e riconosciuta,
quotidianamente sollecitato anche dal confronto con l’ “altro” - si
riuscirà a “tradurre”, insieme e concretamente, il primato della persona
e il criterio del bene comune. L’auspicio è che le sofferenze di oggi -
in particolare quelle del mondo del lavoro - possano trovare una degna
soluzione e generare un futuro migliore per tutti.
L’Arcangelo
Michele - col suo stesso nome: “Chi come Dio?” - pone anche a noi
l’interrogativo fondamentale: la domanda su Dio, la domanda delle
domande. Domanda a cui solo l’uomo - che è immagine di Dio - può dare
risposta e dalla quale, poi, scende ogni ulteriore risposta circa la
buona vita della persona e della comunità.
Con
la sua intercessione e la sua preghiera, San Michele Arcangelo
accompagni tutti in questo momento di crisi persistente, così difficile
da superare per la nostra comunità.
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