martedì 23 luglio 2013

Da Gente Veneta del 21 luglio 2013


Domenica, 21 Luglio 2013

Battesimi in calo: «Ripensiamo la pastorale»


U

n invito a ripensare profondamente la catechesi, la pastorale, la vita stessa delle comunità cristiane. Questo emerge dal "sondaggio" promosso da GV tra alcuni laici della diocesi, all'indomani della pubblicazione dei dati sui battesimi (GV n. 28) che mette in evidenza come il sacramento di iniziazione alla vita cristiana non sia più così scontato. Otto bambini battezzati ogni dieci nati (contando solo gli italiani): è questo il dato medio nel territorio del Patriarcato ed è come una crepa su di un muro, destinata ad allargarsi sempre di più. A meno che non si provi in qualche modo ad invertire la tendenza.


«Questa è la realtà e occorre prenderne atto lucidamente», osservaMarco Da Ponte. «Forse il 100% dei battezzati di un tempo rispondeva ad un bisogno di normalizzazione sociale, più che ad una scelta convinta. Questo dato ci riporta ad una realtà effettiva e si tratta di un trend destinato a peggiorare. Assistiamo ad una trasformazione culturale che è effetto della secolarizzazione». 
Sono dati che stanno addirittura al di sotto del fenomeno, rileva Giovanni Benzoni, «un fenomeno che consiste nell'essere usciti da una tradizione che ha dato molti frutti ma che oggi è del tutto inaridita. E' dovere di ogni credente che ha avuto il dono del battesimo rendere di nuovo feconda questa tradizione».

A questo punto occorre individuare il "come". «Le comunità dovrebbero farsi più vicine alle coppie giovani», è ad esempio l'invito di Nicola Chiarot. «Capita che arrivino coppie che chiedono il battesimo per i figli e poi in chiesa non si fanno più vedere». E altre ancora non si presentano proprio, rinunciando direttamente al sacramento. E' qui che la comunità cristiana è chiamata ad intervenire. «Le famiglie che frequentano la parrocchia - aggiunge Chiarot - dovrebbero avvicinarsi ai nuovi nuclei familiari, avere un po' di coraggio e provare ad accompagnare queste coppie attraverso la propria testimonianza. Dovrebbero iniziare un percorso di relazione, sostenere questi genitori nella scelta del battesimo e poi nel proseguire la vita all'interno della comunità. In questo Anno della fede si potrebbe ripensare alla pastorale familiare in questo senso».

Di ripensamento parla anche Anna Brondino: «Va ripensata la catechesi, vanno ripensati i corsi di formazione per il matrimonio. Seguire la coppia che si sposa in chiesa e che in questo modo dà inizio ad una nuova vita, matrimoniale e genitoriale».
C'è di fatto un vuoto nella catechesi, sottolinea Anna Brondino che da trent'anni è catechista in parrocchia: «E' il vuoto dagli zero ai sei anni. E andrebbe in qualche modo colmato». Rivolgersi ai bambini, per "intercettare" i genitori. «Vediamo che capitano dei ritorni. Quando i bambini vengono a catechismo per preparare la prima comunione ci sono famiglie che, dopo essersi allontanate, si riavvicinano e tornano a frequentare la parrocchia». Ma a questo punto, dopo aver ripreso i contatti, deve entrare in gioco la catechesi per gli adulti. «Il catechista che avvicina i genitori che accompagnano il figlio a catechismo ha una occasione straordinaria di fare evangelizzazione degli adulti. Ma qui va fatto un grosso lavoro di catechesi e di formazione. I catechisti devono essere preparati a rapportarsi con un mondo che non è più quello tradizionale, le famiglie non sono più solo quelle tradizionali. E noi catechisti - aggiunge Brondino - dobbiamo essere preparati ad accogliere, con la formazione adeguata. Mi rendo conto, pensando alla mia esperienza personale, che tante persone avvertono il bisogno di essere avvicinate, accolte. C'è molta solitudine e noi abbiamo l'occasione per fare una sorta di pastorale occasionale. Per questo dobbiamo attrezzarci per lavorare sugli adulti, con gli strumenti giusti, per intercettare queste persone, uscendo anche dalla chiesa, dalle sacrestie, guardando prima di tutto alla persona e alle sue esigenze. Poi verrà anche la pastorale. Credo vi sia bisogno di una riconversione da parte nostra, di una svolta culturale. Ed è quanto sta chiedendo Papa Francesco, ma è anche quanto è emerso lo scorso anno ad Aquileia».

Lavorare dunque sui genitori, sulle giovani coppie. Lo sostiene ancheMarco Da Ponte. «Serve una diffusione capillare, non tanto dei corsi per preparare gli sposi alle nozze, ma per fare in modo che quei giovani sposi si trovino in un ambiente accogliente. La parrocchia sia una famiglia di famiglie che accompagnano gli sposi alla scoperta graduale del loro matrimonio con una prospettiva di fede per i loro figli. E quando si prepara al battesimo si deve lavorare non tanto per preparare i genitori alla cerimonia, ma per renderli consapevoli che essi assumono su di sé la responsabilità di trasmettere la fede ai figli». E poiché il fenomeno non è solo veneziano, ma è ben presente in tante altre diocesi (e in altri paesi d'Europa), Da Ponte suggerisce di guardare anche all'esempio e alle esperienze di altri: «Non facciamo il solito errore, tipicamente veneziano, di voler inventare per primi la soluzione». Non si parte da zero comunque: «Il lavoro fatto dalla commissione pastorale sposi è una base di partenza, ma va recepito. Ora c'è un lavoro capillare da fare in parrocchia, nell'accogliere gli sposi giovani e nel mettersi a disposizione, calibrando i ritmi e le proposte in base alle loro esigenze che sono certamente diverse da quelle dei parrocchiani sessantenni... Vanno favoriti gli incontri con le altre coppie giovani, mettendo anche a disposizione servizi di baby sitting, in orari per loro più agevoli. Va insomma - chiude Da Ponte - cambiata la mentalità».

Molto importante è poi la testimonianza che può portare l'effetto "contagio" come lo definisce Enrico Moschini: «Se una persona vede che io ho qualcoa di bello, un segno che desta il suo interesse, quella persona lo vorrà per sé. Vale anche per l'evangelizzazione, partendo da dei segni che destino l'interesse delle persone, delle famiglie. Le parrocchie, dunque, devono saper evangelizzare. E cogliere l'occasione che si ha quando una famiglia chiede di battezzare il figlio: è un'opportunità di evangelizzazione, ogni bambino che nasce è una chance. Ma occorre saper offrire qualcosa di allettante e noi cristiani ce l'abbiamo, ma occorre averne coscienza, saper accogliere e annunciare».
Il battesimo, conclude Giovanni Benzoni, è un dono che va scoperto e riscoperto da tutti. «E la relazione tra le persone deve avere la preminenza sugli aspetti organizzativi, pur necessari. E' chiaro che quanto più è aperta e missionaria la comunità, tanto è più probabile che sia ricompensata da generosi frutti».

Serena Spinazzi Lucchesi


Tratto da GENTE VENETA, n.29/2013


lunedì 22 luglio 2013

La laicità , omelia di Mons Moraglia

La laicità è fondamentale, sia per il cittadino che per il cristiano. È legata alla struttura della persona che, nella sua realtà antropologicocreaturale, viene prima dello Stato (del cittadino) ma anche prima dell’adesione a qualsiasi religione (del credente). Per la Chiesa cattolica, poi, la fede – il “sì” a Gesù Cristo – non può che essere una scelta libera e responsabile. La risposta di Gesù a coloro che gli chiedevano se era lecito o no pagare il tributo a Cesare – «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21) – mostra un percorso sempre valido che va al di là di situazioni contingenti o di una singola epoca storica. Gesù pone una distinzione fondante e fondamentale: Dio e Cesare, nei loro ambiti specifici, sono interlocutori imprescindibili per l’uomo di ogni epoca. Fino ad allora né lo Stato ebraico con la sua teocrazia né l’impero romano con il culto a Cesare avevano raggiunto la vera laicità indicata da Gesù. In questa distinzione c’è la novità da cui deriva la forma moderna dello Stato, ossia la possibilità d’essere sia leali sudditi del “re”, pur essendo uomini di fede, sia veri credenti ed insieme autentici cittadini impegnati a lavorare per il bene della civis. Si tratta di riflettere, allora, sul concetto di laicità considerato come snodo essenziale, tanto nella vita del credente quanto del cittadino. Credente e cittadino devono innanzitutto guardarsi dai differenti tipi di confessionalismo, sia esso religioso che scientista o laicista. Molte sono le sue forme: c’è il confessionalismo che reca il marchio della credenza religiosa, quello tecnico-scientifico e, ancora, quello ideologico politico-culturale; tutti questi, a loro volta, diventano opprimenti e pervasivi nei confronti della libertà di coscienza sia dei credenti sia dei cittadini. La storia fornisce un ampio campionario che si dispiega nelle differenti epoche. Nel nostro ordinamento giuridico il termine “laicità” non compare nella legislazione ordinaria né risulta utilizzato dalla Costituzione per qualificare l’atteggiamento dello Stato in materia religiosa; è legato piuttosto alla giurisprudenza della Corte costituzionale che, in una famosa sentenza (la n. 203 del 1989), qualifica il principio di laicità come «principio supremo dell’ordinamento costituzionale» e «uno dei profili della forma di Stato delineato dalla Costituzione». È un principio di laicità inteso in senso “aperto” e “positivo”, che non indica o suggerisce l’indifferenza o, addirittura, l’ostilità dello Stato dinanzi alla religione (o alle religioni) ma piuttosto il compito di garanzia che spetta allo Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in un contesto accentuato di pluralismo confessionale e culturale. Lo Stato non può essere indifferente o neutrale dinanzi alla religione. E qui non è in ballo solo la religione cattolica. Lo Stato deve garantire la tutela della libertà religiosa come diritto fondamentale e inalienabile della persona, come diritto valido per tutti. Una sana laicità è in grado di riconoscere, di rispettare e di valorizzare tanto la sfera sacrale/religiosa quanto quella profana/secolare nell’interesse del cittadino. Di ogni cittadino e di tutti i cittadini. Una vera laicità comporta il riconoscimento delle molteplici dimensioni dell’uomo che è spirito, anima e corpo (cfr. 1 Ts 5,23): l’uomo è immanenza e trascendenza, relazionalità verticale (o teologica) e orizzontale (o antropologica), interiorità ed esteriorità. L’uomo è l’insieme di tutte queste dimensioni e tra di esse vi è anche quella religiosa che dev’essere vissuta in modo “pienamente umano”. Appare quindi tutta l’incongruenza di chi, invece, vorrebbe rinchiudere la fede (la religione) nel recinto interiore della coscienza personale. Il Concilio Ecumenico Vaticano II – al n. 36 della Gaudium et spes – ha parlato dell’autonomia delle realtà terrene affermando che, insieme alle leggi che regolano la vita delle società civili, esse godono di legittima autonomia ma, nello stesso tempo, tale autonomia non è mai qualcosa d’assoluto: sottostà ad una valutazione morale che non è di qualcuno ma è il riconoscimento di qualcosa che viene prima della sfera religiosa e politica, prima della tecnoscienza. Così, di fronte a questioni altissime come quelle della vita, non c’è legge dello Stato che tenga e in ultima istanza, per opporsi ad un’ingiustizia altrimenti irreparabile, si dà la legittimità dell’obiezione di coscienza. Ricordiamo le ultime parole di Tommaso Moro, figura luminosa e attualissima: « Muoio come buon servo del Re, ma anzitutto come servo di Dio». La festa del Redentore spinga credenti e non credenti a riscoprire il senso di una laicità che porta a vivere nel rispetto delle prerogative antropologiche fondamentali e non mira a ridurre e a costringere nel chiuso della coscienza individuale i propri convincimenti, iniziando da quelli religiosi. La laicità sia un ponte gettato verso quanti non hanno il nostro modo di “sentire” ma hanno a cuore l’uomo, tutto l’uomo – non solo una sua parte – e, ancora, tutti gli uomini e, alla fine, il bene comune.

martedì 2 luglio 2013

Una grande occasione persa : Palais Lumière

Alla luce delle ultime nefaste notizie riguardo al Palais Lumière  mi chiedo veramente chi verrà ad investire in città , l'immagine a livello internazionale  con la quale la nostra Venezia esce, è pessima! Qui non si tratta di destra o sinistra, di guelfi o ghibellini , si tratta di una visione a lungo termine per il nostro territorio .Quale è la visione di chi ora ci amministra ? Non ci è chiaro.
Mi chiedo se non fosse stato possibile  che per un investimento economico così importante che prevedeva anche un rilancio di Marghera,  non fosse stato il caso che tutti gli attori coinvolti in questa partita si attivassero per una conclusione positiva della questione.
Un investimento che proponeva una sostenibilità per il territorio, una uscita dalla cultura monoturistica imperante, un rilancio di un territorio abbandonato e tanti posti di lavoro in un momento economico così delicato.
Certo che un investimento di queste proporzioni richiedeva regole certe e tempi certi dal punto di vista delle autorizzazioni amministrative e burocratiche , c'é stato? Chi investe si fa dei conti e vuole dei ritorni, se no è un benefattore od un mecenate. 
Il nostro territorio da quanto tempo non vede investitori stranieri pronti a imprendere a Venezia? 
Abbiamo un territorio che potrebbe essere vetrina mondiale, che si presta e sperimentazioni le più ardite e creative, penso ad una coniugazione ambiente e lavoro , per esempio, perchè non favorire imprenditori coraggiosi con leggi locali ad hoc?
Credo che le ideologie e le clientele  di cui ormai è incrostato il nostro territorio , se vogliamo che Venezia non resti un paese per vecchi, debbano essere spazzate via da un vento nuovo di buon senso e coraggio . Perchè non creare una lobby trasversale per il ritorno di investitori  in questa città? 
Ecco ormai delle parole e di azioni tappabuchi per salvare il bilancio e le sedie di chi ci governa direi siamo stanchi , le tasche e le pance sono vuote o meglio di alcuni sono molto piene e di altri molto vuote . 
Veda questa amministrazione di darsi una linea , una visione e per favore ce la spieghi .